AVVERTENZA

AVVERTENZA:
QUESTO E' UN BLOG DI MERA "CURA DEI CONTENUTI"
GIUSLAVORISTICI (CONTENT CURATION) AL SERVIZIO DELLE ESCLUSIVE ESIGENZE DI AGGIORNAMENTO E APPROFONDIMENTO TEORICO DELLA COMUNITA' DI TUTTI I PROFESSIONISTI GIUSLAVORISTI, CONSULENTI, AVVOCATI ED ALTRI EX. L. 12/1979.

NEL BLOG SI TRATTANO "CASI PRATICI", ESEMPLIFICATIVI E FITTIZI, A SOLO SCOPO DI STUDIO TEORICO E APPROFONDIMENTO NORMATIVO.

IL PRESENTE BLOG NON OFFRE,
NE' PUO', NE' VUOLE OFFRIRE CONSULENZA ONLINE IN ORDINE AGLI ADEMPIMENTI DI LAVORO DI IMPRESE, O LAVORATORI.

NON COSTITUENDO LA PRESENTE PAGINA SITO DI "CONSULENZA ONLINE", GLI UTENTI, PRESA LETTURA DEI CONTENUTI CHE VI TROVERANNO, NON PRENDERANNO ALCUNA DECISIONE CONCRETA, IN ORDINE AI LORO ADEMPIMENTI DI LAVORO E PREVIDENZA, SENZA AVER PRIMA CONSULTATO UN PROFESSIONISTA ABILITATO AI SENSI DELLA LEGGE 12/1979.
I CURATORI DEL BLOG, PERTANTO, DECLINANO OGNI RESPONSABILITA' PER OGNI DIVERSO E NON CONSENTITO USO DELLA PRESENTE PAGINA.




martedì 5 febbraio 2013

IL PERIODO DI PROVA NELL'APPRENDISTATO: UN REBUS DA SCIOGLIERE

Il periodo di prova nell'apprendistato è uno di quei temi molto trascurati dai "pratici" (sia Consulenti del Lavoro, sia Avvocati): un tema cui in effetti non ravviseresti probabilità di insidie in sede applicativa, un tema apparentemente innocuo, senonchè, a guardarci bene, denso di ombre e di interrogativi.
Un campanello di allarme, a mio modesto avviso, lo aveva lanciato il Prof. EDOARDO GHERA, che già nell'edizione 1997 del suo Diritto del Lavoro, aveva avanzato in tutta lucidità la tesi secondo la quale sarebbe stato coerente alla natura speciale del rapporto di apprendistato (ma il discorso avrebbe potuto estendersi ai contratti di formazione-lavoro) consentire il recesso per mancato superamento del periodo di prova, solo per aspetti di natura fiduciaria del rapporto, apparendo incoerente concepire un recesso inerente a profili attitudinali, che l'apprendistato era chiamato a sviluppare si direbbe ex nihilo nell'apprendista, quasi consentendo una facoltà di evasione del Datore da obblighi formativi che a lui incombevano per espressa consegna legale e contrattuale ex. l. 25/1955.
Se il tema, nonostante queste autorevoli prese di posizione, non è mai assurto ad una particolare attualità applicativa e di studio, è stato senz'altro per l'assenza di sentenze dedicate al tema, in modo che non si è potuta formare una giurisprudenza consolidata. Anche se va detto che l'assenza di specifiche regulae iuris sull'argomento, non ha impedito che la giurisprudenza abbia comunque avuto modo lanciato chiari ed eloquenti indicazioni almeno a livello interpretativo, a titolo di obiter dicta.
Obiter dicta, pesanti, come vedremo tra poco, anche per la sede iper-autorevole che li ha formulati, la Corte Costituzionale.
Ma iniziamo con ordine.
La medesima impressione di anodinità emerge dal testo di legge, in quanto, sul punto, le indicazioni emergenti dal D.lgs. 167/2011 sono discordanti.
Innanzitutto, sul "patto di prova" l'art. 02.01°comma lett. a) TU si limita a prevedere la forma scritta, senza altro precisare.
Senonchè indicazioni complesse e ambigue emergono indirettamente da altri passaggi. Anzitutto, l'art. 02.01°comma lett. l) TU che prevede il "divieto di recesso nel corso del rapporto di apprendistato del Datore, se non per giusta causa e giustificato motivo" che si faticherebbe a comprendere, senza leggerla come formale limitazione del patto di prova, quanto alle cause di possibile recesso anche in quella fase, postulandone l'obbligo di motivazione.
L'altra indicazione è invece frutto dell'interpolazione della l. 92/2012, che ha fissato, nella cornice dei "principi generali" dell'apprendistato quella della "durata minima di sei mesi". Come notato acutamente dalla Dr.ssa COCILOVO, è evidente che, difettando di una clausola limitativa del recesso al mancato decorso del periodo formativo (es. limitando il recesso alla "giusta causa" ex. art. 2119 Codice Civile), non ci si può illudere che tale "durata minima" possa esplicare un'autentica interdizione al potere di recesso datorile (chè, in questo caso, sarebbe stata necessaria, una monetizzazione del vincolo, come accade per tutte le clausole negoziali di limitazione del recesso). Ma un'osservazione è legittima: perchè non concludere che, forti di questa indicazione legislativa di "durata minima", il recesso nel corso del periodo di prova possa essere contestato in punto di legittimità, ovvero in punto di mancata "giustificazione"?
Anche questo elemento, quindi, concorrerebbe a delineare per il recesso da mancato superamento del periodo di prova nell'apprendistato uno speciale regime di "giustificazione" del recesso, che cozza con la tradizionale "libertà" di recesso, da sempre conclamata per il periodo di prova (salve le limitazioni essenzialmente "processuali" ex. Corte Cost. 189/1980).
Per dovere di cronaca, va detto che stiamo parlando di norme contenuti in articoli che enunciano solo "principi generali" sulla contrattualistica di apprendistato, da recepire e da arricchire in sede di contrattazione collettiva.
E sempre per dovere di cronaca, dobbiamo anche precisare che  sul periodo di prova la Circolare Min. Lav. 29/2011 impartisce al personale ispettivo indicazioni molto poco chiare e apparentemente poco perspicue. Non è chiaro ad esempio cosa significhi per il Ministero obbligare gli Ispettori a sorvegliare sulla osservanza della "forma scritta" del periodo di prova: di per sè, se le disposizioni ministeriali attengono solo a requisiti di forma-contenuto, queste sono assolutamente prive di senso, perchè l'assenza della "prova" è clausola eventuale, e non è che la sua assenza dal contratto di apprendistato suoni come grave anomalia!
Delle due l'una: o il Ministero obbliga le parti a dotarsi di una clausola, ma allora non si comprende la ratio dell'obbligo essendo la clausola un tipico "elemento accidentale" del contratto; ovvero, il Ministero chiede un controllo di merito della clausola che, in assenza di chiare indicazioni testuali ed esegetiche, non appare chiaro definire.
Nel caos normativo, possiamo giungere a sbrogliare la matassa? E se sì in che modo?
A mio modestissimo avviso, i precedenti giurisprudenziali della Consulta su apprendistato, periodo di prova e licenziamento costituiscono indici magari non solidissimi, ma abbastanza logici e lineari per orientarsi in questa nebulosa materia.
Chiamata a giudicare, specie negli anni '70, la costituzionalità dell'esclusione dalla disciplina limitativa dei licenziamenti ex. art. 10 l. 604/1966 del periodo di prova e dell'apprendistato (che come noto hanno prodotto rispettivamente le sentenze nr. 189/1980 e nr. 169/1973), la Consulta ha enucleato, sia pure abbastanza incidentalmente, e per obiter dicta (più che per pronunce solenni) i seguenti principi di diritto.
Stravolgendo l'ordine cronologico usuale, cominceremo dalla sentenza del 1980 che è la sentenza con la quale più di tutte le altre la Corte Costituzionale ha assestato e definito il "diritto vivente" in materia di periodo di prova, definendo principi e criteri applicativi tutt'ora seguiti nelle Corti:

Affermato l'obbligo delle parti < a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova > (art. 2096, secondo comma, c.c.), ne discende un primo limite alla discrezionalità dell'imprenditore, nel senso che la legittimità del licenziamento da lui intimato durante il periodo di prova può efficacemente essere contestato dal lavoratore quando risulti che non è stata consentita, per la inadeguatezza della durata dell'esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato. Più in generale, si può affermare che la < discrezionalità > dell'imprenditore si esplica nella valutazione delle capacità e del comportamento professionale del lavoratore, così che il lavoratore stesso il quale ritenga e sappia dimostrare il positivo superamento dello esperimento nonché l'imputabilità del licenziamento ad un motivo illecito ben può eccepirne e dedurne la nullità in sede giurisdizionale.

Pur non limpidissima dal punto di vista tecnico-giuridico, la norma codifica la "causa" della "clausola di prova" come momento di "verifica" delle attitudini del lavoratore.
Ma se deve considerarsi "nulla per violazione di causa" quella clausola di prova-capestro, che a priori impedisce al Lavoratore di "provare" le sue attitudini, come dovremmo considerare la "clausola di prova" nel contratto di apprendistato, dove la sola apposizione del periodo di prova può impedire la prova attitudinale, ma impedire la formazione del Lavoratore, che per di più è fatta espresso obbligo in capo al Datore?
La logica giuridica è pesantemente stringente, anche se poco notata e poco rilevata in sede applicativa.
Ma c'è di più.
Sul periodo di prova nell'apprendistato, la Consulta, nella sentenza 14/1970, si era addirittura spinta a dire:


L'assunzione in prova (art. 2096 cod. civ.) é contratto diverso da quello di apprendistato, il quale può, soltanto per tempo limitatissimo e per volontà delle parti, essere preceduto da un periodo di prova (art. 9 legge n. 25 del 1955). La prova ha una funzione di conferma di qualificazioni tecniche che si presuppongono già formalmente acquisite, mentre l'apprendistato ha per funzione la loro acquisizione.

Sulla base di queste premesse di diritto vivente, diventa, a mio modestissimo avviso, un pò più facile ricostruire la maglia delle norme applicabili al "periodo di prova" dell'apprendista e i margini dell'eventuale controllo ispettivo della DTL.
Con l'introduzione, da parte della l. 92/2012 della previsione obbligatoria di una "durata minima del periodo formativo", ne è risultata pesantemente condizionata (in via automatica) la configurabilità di un recesso "libero" del Datore nel periodo di prova dell'apprendista. Pur non potendosi (come visto sopra) configurare una "limitazione del recesso" in senso tecnico, la disposizione non può non contribuire ad arricchire e ad implementare in concreto quella casistica di adempimento/inadempimento/adempimento parziale della formazione dell'apprendista.
Chè non può sfuggire la circostanza che se il periodo di prova appare, già nella configurazione contrattuale, troppo lungo (es. continuamente prorogato), o troppo breve, queste condotte possono essere censurate dal Personale Ispettivo ai fini dell'applicabilità delle sanzioni amministrative ex. D.lgs. 167/2011 (come implementate anche dalla Circolare Min. Lav. 05/2013) e contributive già ex. art. 53.04°comma D.lgs. 276/2003.
In questo senso, poi, la combinazione del periodo di prova di CCNL con la nuova "durata minima della formazione" ex. l. 92/2012 non può non prefigurare questa situazione: se, cioè, durante le fasi di recesso intervenga un controllo, l'Ispettore non possa emettere "disposizione" ex. art. 14 D.lgs. 124/2004 per riportare le ore formative alla durata "minima" ritenuta più equilibrata (anche se, fissato questo principio, non è chiaro se in questo caso l'Ispettore debba chiedere il rispetto integrale dei mesi/ore minimi di formazione o questi debbano riproporzionarsi ...).
Di più credo non possiamo dire: questa è comunque l'indicazione più coerente per iniziare un'efficace e congrua riflessione, che dovrà evidentemente implementarsi con la prassi ispettiva e contrattuale che potrà svilupparsi.

Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara (Consulente del Lavoro, Ferrara)
Pagina FB: https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts

Nessun commento:

Posta un commento