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venerdì 25 maggio 2012

IL DIPENDENTE PUO' ASSENTARSI DAL LAVORO PER "FARE VOLONTARIATO"?

E se al Dipendente viene il "ghiribizzo" di far volontariato? Se ad un certo punto, invoca un orario adeguato per conciliare la prestazione di lavoro con il servizio svolto a titolo di Volontariato, ad esempio, perchè deve andare a ricevere le "forniture" del Banco Alimentare e la sua organizzazione No Profit conta solo su di lui?
E' una cosa nota e risaputa le Associazioni di Volontariato accusano da sempre la penuria di "braccia", e disperano di trovare personale che non siano solo studenti, ragazzi in servizio civile, pensionati, ossia personale "non attive".
Forse è poco noto che dal punto di vista normativo, non c'è nessuna incompatibilità tra lavoro dipendente e volontariato. Anzi!
Prima di iniziare una precisazione. Quando parliamo di"volontariato", ai fini di questo specifico intervento, non ci riferiamo al volontariato per donazione di sangue (AVIS e dintorni), ossia al Volontariato di Protezione Civile, ma al "volontariato" puro e semplice, senza qualifiche, che non siano quelle discendenti dalla legge 266/1991. Ipotesi questa tendenzialmente più negletta, trascurata dalla pratica e dalla pubblicistica, tesa forse a valorizzare meglio la fenomenologia della donazione di sangue e della Protezione Civile.
Ora, cosa dice la legge 266/1991?
Se guardiamo l' art. 17. L. 266/91, scopriamo che i lavoratori che facciano parte di organizzazioni iscritte nei registri di volontariato istituiti dalle regioni e dalle province autonome per poter espletare l'attività di volontariato hanno diritto di usufruire delle forme dì flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti e dagli accordi collettivi compatibilmente con l'organizzazione aziendale.
Fermiamoci un attimo per capire.
La legge (a differenza della fattispecie di donazione di sangue e della Protezione Civile) non riconosce direttamente permessi retribuiti (o meno) in caso di Volontariato ex. l. 266/1991.
La legge, però, opera con una tecnica di formulazione diversa: non riconosce "permessi" (nulla impedisce ai CCNL di Comparto di riconoscerli, come vedremo), ma riconosce più sfumatamente un "diritto alla flessibilità oraria finalizzato all'espletamento di attività di volontariato".
La prima, essenziale, domanda che dobbiamo porci è se la predetta disposizione debba intendersi immediatamente esecutiva o meno. Il problema sorge in relazione al fatto che non tutti i CCNL prevedono appositi "permessi" o "congedi" per "volontariato" (se non formulazioni ambigue e poco perspicue come l'art. 19 CCNL Enti Pubblici Non Economici del 1995 che si limita ad un melange tra Protezione Civile e Volontariato riconoscendo un generico "favore", ma senza specificarne i termini tecnico-giuridici). Davanti al vuoto regolativo del CCNL, questo "beneficio" riconosciuto dalla legge ai Dipendenti volontari è meramente nominale o efficace?
Consideriamo una cosa: la norma si riferisce al "diritto del Dipendente-Volontario" a fruire di una "flessibilità oraria" (evidentemente adeguata). Ora, si da il caso che in ogni contratto collettivo vi siano ampie sezioni dedicati a questi istituti: sia nelle norme sui Permessi per Riduzioni d'Orario (meglio noti come ROL), sia nelle norme sui permessi/riposi per "festività soppresse" (l. 54/1977), sia nella altre norme di "programmazione flessibile dell'orario di lavoro".
Niente di più facile concludere che l'art. 17 l. 266/1991 abbia inteso permettere al Dipendente-Volontario di avvalersi degli istituti di flessibilità oraria già in essere nella contrattazione collettiva per renderli funzionali all'attività di volontariato, senza dover attendere disposizioni ad hoc.  
Una scelta normativa flessibile, concepita dal legislatore per adattare nel modo più agile e fluido possibile volontariato e ritmi dell'attività aziendale, in corrispondenza dei "picchi" e dei "vuoti" di produzione.
La chiave di gestione adeguata per conciliare lavoro e volontariato ci pare proprio questa: scambiare maggiore lavoro con maggiore tempo libero! E sfruttare a questo fine la leva del ROL Permesso per Riduzione d'Orario.
(Per il settore pubblico, si consiglia la leva delle "festività soppresse" riconosciute come giorni di ferie supplementari retribuite dalla l. 937/1977, tuttora in vigore, salvo le specifiche dei CCNL).
Ad esempio, sempre per restare al Privato, una Dipendente di Commercialista (Studio Professionale) che abbia svolto un surplus di ore nel periodo delle Dichiarazioni dei Redditi può "farsi restituire" l'eccedenza oraria e produttiva facendosi riconoscere, per i periodi "morti" dell'attività di Studio, giorni/ore di assenze retribuite ove poter svolgere attività di volontariato (i cd permessi ROL Riduzione Orario Lavoro). Scelta assurda o stravagante in apparenza (chi non si farebbe pagare lo straordinario?), ma che può rivelarsi altrettanto speculativa. A queste condizioni, la concessione di giorni di assenza può ben assumere un significato di "retribuzione incentivante" (vedi le classiche teorie del "cottimo Halsey"): detassabile (alla pari del lavoro straordinario) all'aliquota IRPEF sostituiva del 10% per il 2012 (quando sarà emanato l'apposito Decreto Presidenziale di finanziamento) anche per il 2012.
Ma la scelta di preferire il ROL e quindi scambiare maggiori ore con maggiore tempo libero è particolarmente vantaggiosa e ragionevole, oggi che la "detassazione" di produttività esiste di nome, ma non di fatto (perchè mancano i decreti attuativi).
Adesso, infatti, che lo straordinario e le voci di produttività non sono detassabili, c'è poca convenienza per il lavoratore a chiedere il riconoscimento delle ore straordinarie, che, aumentando il reddito lordo, andrebbero probabilmente "mangiate" da maggiori aliquote IRPEF o minori detrazioni, con rischi per il reddito netto: tanto vale, utilizzare la leva del ROL, che è vero non aumenta il reddito lordo, ma non determina "sorprese" sul fronte del ... netto!
Ma cosa succede se l'Azienda si oppone? D'accordo, la legge riconosce un diritto a conciliare lavoro e volontariato, ma se l'Azienda fa ostruzionismo? In fondo, si può obiettare, il Datore di Lavoro è la "parte forte" e ben può mettere "in non cale" i diritti pur legittimi del Dipendente.
Sul punto, non ci sono riscontri giurisprudenziali importanti che diano peso o riscontrino questa fattispecie, ma la logica e il buon senso ci permettono di evincere quanto segue.
Innanzitutto, la vicenda va trattata alla stregua dei generali (ma non meno penetranti) "obblighi di correttezza e buona fede"  che sempre di più ricevono attenzione e considerazione da parte della giurisprudenza nella codificazione delle regole "non scritte" di educazione e salvaguardia tra Datore di Lavoro e Dipendente (vedi tra le tante Cassazione civile , sez. lavoro, ordinanza 12.12.2011 n° 26560).
In ogni caso, senza mettere in mezzo Avvocati e Giudici (chè non c'è tempo e modo di sfruttarli per simili vicende), è sufficiente che tra il Lavoratore informi il Datore, con lettera scritta, delle sue intenzioni e della circostanze di ore e luogo in cui intende assentarsi per svolgere volontariato. Il Dipendente non può evidentemente assentarsi di sua iniziativa contrariamente al parere del Datore (chè incorrerebbe in sanzione disciplinare!), ma il Datore non può omettere una risposta. Di massima, se è stato debitamente preavvisato, se nulla oppone e se non sopravvengono circostanze impreviste della produzione tali da far ritenere irrealizzabili i progetti del Lavoratore, a favore del Dipendente Medesimo può ritenersi consolidato un diritto all'assenza ... per acquiescenza del Datore.

Dr. Giorgio Frabetti, Consulente d'Azienda in Ferrara








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