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martedì 12 giugno 2012

DIES DOMINI, IL GIORNO DEL SIGNORE. NOTE MINIME SU FEDE RELIGIOSA, ESERCIZIO DEL CULTO E DIRITTO DI ASTENSIONE DAL LAVORO (NON PER SOLI CATTOLICI)

PREMESSA: Dopo la rutilante accoglienza riservata dalle famiglie milanesi a Papa Benedetto XVI, il Pontefice, all'udienza generale di mercoledì 06 giugno scorso ha rievocato con affetto la giornata, ma ha anche colto l'occasione per ribadire con fermezza e accoratezza quello che ben può ritenersi un proprio "cavallo di battaglia": "Qui vorrei ricordare quanto ho ribadito a difesa del tempo della famiglia, minacciato da una sorta di «prepotenza» degli impegni lavorativi: la domenica è il giorno del Signore e dell’uomo, un giorno in cui tutti devono poter essere liberi, liberi per la famiglia e liberi per Dio. Difendendo la domenica, difendiamo la libertà dell’uomo!".
La domanda del lavoratore cristiano di conciliare lavoro e festa religiosa (e famiglia) interpella anche il "lavorista". Al riguardo, cade decisamente a proposito l’articolo della Dr.ssa COGLIEVINO, (Università Cattolica di Milano),  Feste religiose e società multiculturali pubblicato nel terzo trimestre 2008 nella Rivista Italiana di Diritto del Lavoro che tali affrontava con estrema sensibilità, ma anche con estrema competenza tecnico-giuridica.
Per il suo carattere esemplare e per l'importanza intrinseca dell'argomento, questa trattazione verrà fatta oggetto di un commento (o riassunto) ragionato e molto analitico.


L’articolo pone una domanda: al fedele cittadino italiano (cattolico, ma non solo) è riconosciuto dalla Costituzione e dalle norme UE il “diritto alla festività”? Diritto che (se riconosciuto) comporterebbe:

01)  L’astensione dal lavoro?
02)  Limitazioni nella facoltà dell’imprenditore-Datore di Lavoro di esigere il lavoro dal lavoratore “in festività”?
03)  E correlato: esiste una facoltà indiscriminata degli esercizi commerciali di tenere aperto nelle giornate festive? (Il pensiero va alla sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 01 dicembre 2009 che ha cassato l’indiscriminata facoltà di apertura degli esercizi commerciali nelle domeniche di avvento).

N.B.: L’Autrice fa notare che tale “diritto alle festività” è cosa ben diversa dal “diritto al riposo settimanale” (pure cadente in domenica) riconosciuto ai lavoratori, perché:

a)      Il “diritto alla festività” implica una facoltà di astensione dal lavoro etc. motivata dalla religione e dall’esigenza di vivere la fede o in famiglia o in ambito associativo; è una rivendicazione che non riguarda solo il diritto del lavoro, ma anche il diritto ecclesiastico. Trattasi, cioè, di una forma di riposo non agnostico sul piano religioso!
b)     Il “diritto al riposo settimanale” presuppone una facoltà di astensione dal lavoro etc., motivata dal semplice bisogno di recupero delle energie psico-fisiche logorate da una settimana di lavoro continuativo e si esaurisce unicamente sul diritto del lavoro: è una forma di riposo agnostico sul piano religioso!

ESSENZIALE, SUL PUNTO, IL PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO DELL’11 FEBBRAIO 1998:

Secondo il Consiglio di Stato, il “diritto alla festività” (con conseguente astensione dal lavoro) non può essere rivendicato (né individualmente, né collettivamente) facendo riferimento all’art. 19, che riconosce la libertà religiosa.

N.B.: Al riguardo, deve anche dirsi, per la parte cattolica, il “diritto al riposo settimanale” non è nemmeno riconosciuto come “riposo domenicale” dal famoso art. 36 Cost., che si limita a riconoscere ai lavoratori il diritto a “riposi con cadenza settimanale (06 gg. Lavoro/01 g. festa), senza individuare la “domenica” (a ciò provvede l’art. 09 D.lgs. 66/2003 che fa coincidere il “riposo settimanale” con la domenica, almeno in via normale).

In questi termini, il diritto italiano è, almeno apparentemente, lontano “anni luce” dal sistema americano, dove il Datore di Lavoro è obbligato a predisporre aggiustamenti organizzativi per consentire ai lavoratori di esercitare il proprio culto (Titolo VII del Civili Right Act del 1964).
Secondo il Consiglio di Stato, occorre una norma pattizia ex. artt. 07 o 08 Cost. per riconoscere una “festività” come diritto soggettivo perfetto del Lavoratore.

Norma pattizia che consiste nel Concordato Stato-Chiesta ex. art. 07 Cost. per i cattolici (recentemente, Accordi di Villa Madama, 18 febbraio 1984), oppure nelle intese ex. art. 08 Cost. per le confessioni non cattoliche.

Qui di seguito, si traccerà un quadro delle principali norme pattizie, avendo speciale riguardo al Concordato Stato-Chiesa del 1984 e all’intesa Stato-Comunità Ebraiche del 30 dicembre 1988.

a)      CONCORDATO STATO-CHIESA CATTOLICA:

La materia delle festività è regolata a parte rispetto al corpo degli Accordi di Villa Madama, in quella sorta di “codicillo” che è il DPR 792/1985, che sigla l’intesa Stato-Chiesa sulle festività religiose cattoliche, riconosciute valide anche agli effetti civili (disposizione che, allora, reintrodusse,  a livello nazionale, la festività dell’Epifania e, a livello del Comune di Roma, la festività dei SS. Pietro e Paolo, abrogate agli effetti civili dalla l. 54/1977).

Molto discussa è l’efficacia giuridica da attribuirsi all’inciso che riconosce tra le festività agli effetti civili “tutte le domeniche”. Ci si è chiesti, in particolare, se tale disposizione valga a costituire a favore dei fedeli cattolici il diritto pieno di opporsi alle richieste di lavoro domenicale, pur laddove la legge non lo vieta. La dr.ssa COGLIEVINA esclude che la norma concordataria possa interpretarsi ed applicarsi in questo senso, perché il Concordato non avrebbe la competenza a modificare il diritto del lavoro italiano, di pretta competenza dell’ordinamento interno.

In linea di massima, però, le disposizioni interne sull’orario di lavoro e sul riposo settimanali e le disposizioni che regolano, ai fini dell’orario di lavoro e della retribuzione, le festività religiose, sono allineati con le tradizioni cattoliche.

Queste le linee principali di disciplina:

I)                   La domenica è giorno normale di riposo, salvo deroghe previste dalla legge e disciplinate dal CCNL;
II)                Il lavoratore ha diritto ad una specifica compensazione economica a titolo risarcitorio, se lavora in domenica (vedi Corte Costituzionale nr. 16/1987);
III)             Nei casi più gravi, il lavoratore può rifiutare la prestazione di lavoro a titolo di autotutela ex. art. 1460 del Codice Civile;
IV)             Laddove la scadenza di un termine per il compimento di un atto giuridico venga in scadenza in giorno di domenica (o in festivo), è prevista la proroga automatica nel primo giorno lavorativo utile (art. 2963 del Codice Civile);
V)                La l. 260/1949 regola gli effetti civili delle festività religiose, prevedendo, oltre all’astensione dal lavoro, anche la conservazione della retribuzione per il giorno festivo: per i lavoratori non retribuiti in misura fissa e continuativa (gli “Operai ad ore”) è previsto il pagamento della festività cadente in domenica nell’importo corrispondente alla retribuzione giornaliera.

B) INTESA STATO ITALIANO/COMUNITA’ EBRAICHE:
L’intesa Stato-Comunità Ebraiche, stipulata ai sensi dell’art. 08 Cost. in data 30/12/1988, è stata trasformata in legge dello Stato con la l. 101/1989, la quale ha regolato con dettaglio l’interferenza delle festività ebraiche con lo svolgimento di rapporti di lavoro, di prove concorsuali, di obblighi scolastici.
In particolare, gli ebrei possono:

I)                   Godere del riposo in giorno diverso dalla domenica, per motivi religiosi, previo preavviso del Datore di Lavoro e con obbligo di recuperare le ore perdute, in quadro di flessibilità organizzativa;
II)                Giustificazione automatica degli alunni ebrei della scuola dell’obbligo, in caso di festività ebraica;
III)             Obbligo di Enti Pubblici di considerare le festività ebraiche nella decisione delle date di indizione di concorsi pubblici.

I giorni di festività ebraica, però, non rilevano per la proroga automatica della scadenza per il compimento di atti giuridici ex. art. 2963 del Codice Civile; per queste, si fa valere il calendario comune, gregoriano!

N.B.: Sulla “flessibilità organizzativa” presupposta nella gestione dei riposi dei fedeli ebrei, vale la pena di ricordare che la Pretura Monza, Sez. Desio, Ordinanza 20/03/1992 (conforme Pretura Bologna, Ordinanza 07/03/1996) ha escluso che il Datore possa negare il riposo al fedele ebreo sulla base della constatazione della semplice difficoltà a riorganizzare i turni. Viceversa, la Pretura di Bologna citata, ha riconosciuto al Datore di lavoro la possibilità di distribuire i giorni di riposo e di recupero, secondo un criterio di “possibilità concreta per l’Azienda di adattare l’utilizzazione dei dipendenti e le loro prestazioni alle diverse e mutevoli esigenze del servizio svolto”. Questo breve “codicillo” tornerà utile per impostare la riflessione sulla distribuzione del lavoro domenicale nei Centri Commerciali per i lavoratori cattolici (riflessioni mie, non dell’Autrice).

Ora, gran parte delle intese siglate dallo Stato con le confessioni religiose ex. art. 08 Cost. seguono il “canovaccio” di cui sopra per la gestione dei rapporti di lavoro.

LE FESTIVITA’ DELLE CONFESSIONI SENZA INTESE

La mancata previsione di “festività” da parte di “Intese”, se, ai sensi del Consiglio di Stato, esclude il riconoscimento delle “festività” come “diritti soggettivi perfetti”, non determina, però, preclusioni all’autonomia privata (individuale e sindacale) di regolare alcuni aspetti correlati.
Il problema si è soprattutto posto per i musulmani.
Ad esempio, l’accordo sindacale territoriale della Provincia di Ragusa del settore agricoltura e florovivaisti all’art. 08 ha previsto la facoltà delle Aziende di regolare come meglio credono i periodi di osservanza del Ramadam e delle altre festività della “religione araba”.

DEL TUTTO APERTA E’ LA QUESTIONE ISLAMICA:

Tra lo Stato e le Confessioni Islamiche non è stato raggiunto in sede politica un accordo per un’intesa. Al riguardo, la Dr.ssa COGLIEVINA segnala che la questione del “riposo sabbatico” è una problematica tipicamente ebraico-cristiano, che di per sé non riguarda il mondo musulmano. Nel mondo musulmano, il venerdì è solo giorno nel quale cade l’obbligo della preghiera comunitaria (che per di più è serale). Pertanto, per rispettare la facoltà degli Islamici di esercitare il culto, senza condizionamenti lavorativi sarebbe sufficiente accordare alcune ore di permesso nelle ore del venerdì (così nell’ Accordo Stato Spagnolo-Confessioni Islamiche). L’Autrice fa presente che la rivendicazione da parte dei Musulmani del “giorno di riposo” ha solo una valenza politica, di riconoscimento della propria identità culturale e diversità dall’Occidente: aspetti, quindi, che è arduo e temerario affrontare in sede di contrattazione collettiva!

MOLTO DIFFUSA, COMUNQUE, E’ LA TENDENZA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA A RICONOSCERE LA PIU’ AMPIA TUTELA DELLE FESTIVITA’ RELIGIOSE, IN REGIME DI PIENO E APERTO PLURALISMO CONFESSIONALE.

Alcuni esempi:
A)    CCNL Dirigenti e Quadri di Direzione dei Centri di Elaborazione Dati (Art. 63) : “Ai lavoratori che, con congruo anticipo, comunichino per iscritto la richiesta di ferie per partecipare a festività religiose, (…), le Aziende cercheranno, nei limiti delle esigenze di funzionalità interna e di rispetto delle richieste complessive, di accordare una via preferenziale”;
B)    DPR 20 gennaio 2006 nr. 107, di recepimento dell’accordo sindacale del personale della carriera diplomatica in servizio in Italia (art. 04): E’ attribuito un diritto di fruire un giorno di riposo diverso dalla domenica, ai funzionari appartenenti alle “confessioni religiose riconosciute dallo Stato” (anche senza intesa), ovvero alal religione islamica ed ebraica.

LA DR. SSA COGLIEVINO CRITICA QUESTA SUPPLENZA SINDACALE:
Alla fine, il godimento di un diritto fondamentale come quello del “riposo per culto” che implica esercizio della liberà religiosa, viene fatto dipendere:

1)      Dal potere contrattuale delle confessioni religiose;
2)      Dal peso economico che i gruppi etnici di lavoratori riescono a spuntare (come noto, per le “imprese etniche” la religione costituisce fattore di identità essenziale!).

RIASSUNTO:
Per la regolazione delle interferenze tra lavoro ed esercizio del culto, si ravvisa una netta discrepanza tra disciplina concordataria, destinata ai fedeli cattolici e disciplina convenzionale ex. art. 08 Cost., per fedeli “a cattolici”. Per i fedeli cattolici, la disciplina di riposi, festività è molto blanda, ma non sono previsti (come per Ebrei …) specifiche disposizioni in materia di permessi, festività organizzative etc. proprio per la (superficiale e sorpassata) visione che dette attività si svolgano in domenica, e, quindi, in un ambito in cui si da per scontata, stanti le tradizioni cattoliche italiane, l’assenza di lavoro. Viceversa, le citate forme di flessibilità sono state pensate per Ebrei etc. perché per tradizione svolgono il “riposo religioso” in giorno diverso di domenica e, quindi, ne è parsa più attuale una tutela anche sul versante lavoristico. Tale assetto non tiene conto di due cose: anzitutto, che ormai la tradizionale coincidenza tra riposo lavorativo e riposo religioso (in domenica) non è più scontata nell’attuale fase di secolarizzazione; in secondo luogo, non tiene conto che le forme di conflitto (potenziale) tra lavoro e religione si sono moltiplicate con l’evoluzione della Chiesa negli ultimi 50 anni, che hanno visto fiorire svariate forme associative, nonché figure ministeriali laicali (Diaconato, Accolitato) non riconducibili alla classica figura del Presbitero che si dedica 24 ore su 24 al culto, senza essere occupato in altra attività lavorativa.

OCCORRE UN’ARMONIZZAZIONE/INTEGRAZIONE TRA NORMATIVA ECCLESIASTICA E DIRITTO DEL LAVORO ONDE EVITARE STORTURE NEL GODIMENTO DI UN DIRITTO FONDAMENTALE DELLA PERSONA UMANA COME LA LIBERTA’ DI CULTO NELLE POSTAZIONI DI LAVORO.

Obiettivo strategico minimo individuare una dote di diritti uniformi al fedele lavoratore (Cattolico e non), il quale può essere ottenuto:
1)      Tramite una giurisprudenza, che, fino ad apposito intervento del legislatore, aderisca ad una lettura dell’art. 19 Cost., meno rigida dell’interpretazione del Consiglio di Stato con il Parere citato all’inizio e adotti, come diritto uniforme, il criterio di flessibilità oraria delle intese con Ebrei, Avventisti etc. sulla scia delle disposizioni sindacali sopra riportate (che, per altro, trova l’analogo nei cd “permessi per volontariato” ex. l. 266/1991) e ne riconosca l’estensione anche ai Cattolici, ove oggi manchi;
2)      Tramite una legge organica sulla libertà religiosa, che, superando l’angusta legge del 1929 sui cd. “culti acattolici”, riconosca una tutela minima per riposi e permessi per lavoratori che aderiscano a confessioni che, pur non avendo stipulato intese con lo Stato, siano comunque state riconosciute dallo Stato e registrate negli appositi registri prefettizi (ma sull’Islam occorre attenzione a parte!).

VALUTAZIONI PERSONALI SULLA QUESTIONE CATTOLICI-LAVORO DOMENICALE:

Quelle di seguito riportate costituiscono mie brevi e informali riflessioni personali sulla possibile tecnica di tutela adottabile per i cattolici che valutino non compatibile il lavoro domenicale nei negozi (es. Centri Commerciali) con le esigenze di vita religiosa.
Umilmente e senza pretese di completezza, mi parrebbe che la cornice regolativa per risolvere la questione possa ritrovarsi nell’articolo della Dr.ssa COGLIEVINA.
In generale, sarebbe bene che nelle trattative sindacali aziendali (e nazionali) cominci a pesare, nei piani ferie, permessi etc. la rilevanza del fattore religioso (es. come nel CCNL Dirigenti-Quadri CED) che riconoscono “corsie preferenziali” alle “ragioni religiose”: es. per lavoratori che documentino di essere impegnati come educatori o partecipanti  a “campi scuola estivi” con i ragazzi etc.  
Per quanto riguarda il “lavoro domenicale”, potrebbero esserci difficoltà in più, dal momento che è la normativa sul Commercio (ma già l’art. 07 l. 370/1934) a riconoscere direttamente le “speciali esigenze” del Commercio domenicale (anticamente rappresentate dal lavoro nei campi infrasettimanale). Né è chiaro se e come potrebbe conoscersi in Italia una giurisprudenza costituzionale comparabile a quella recente tedesca che ha escluso alle autorità amministrative di disporre l’indiscriminata apertura domenicale dei negozi, per tener conto delle tradizioni religiose dei Consumatori (il tema di disputa era il periodo dell’Avvento).
Evidentemente, la tutela giuridica che si può impostare in questo caso, è subordinata all’emersione di un conflitto aperto e documentato tra lavoro e esercizio del culto, in chiave di vera “discriminazione” per motivi di culto, nei termini disegnati dalla Direttiva UE 78/2000. Potrebbe, ad esempio, essere il caso di un Diacono Permanente che è chiamato dal Vescovo a tenere incontri di formazione domenicale che si trovi pregiudicato nell’adempimento della sua missione dalla consegna aziendale di lavoro la domenica.
Stante la normativa comunitaria vigente, quindi, potrebbe parlarsi di tutela effettiva principalmente, laddove la consegna di lavoro impedisse l’esercizio del culto, o delle funzioni magisteriali della Chiesa ed interferisse più sensibilmente con aspetti legati alla regolazione “concordataria” ed ecclesiastica dei rapporti giuridici.
Ai fini di questo dispositivo di tutela, però, si deve dare atto che la prova della “discriminazione a sfondo religioso” può essere più facilmente realizzabile per Ministri di culto o affini, che siano lavoratori dipendenti ed effettivamente impediti e pregiudicati dalle loro mansioni e siano contemporaneamente e stabilmente legati con vincoli di mandato a confessioni religiose: qui effettivamente può verificarsi un “conflitto di obbligazioni” e lealtà giuridicamente rilevante. Più difficile parlare di “discriminazione a sfondo religioso”, ovvero di “conflitto di lealtà” nel caso del laico di Parrocchia o di Associazione/Movimento, ove tale impegno sia espressione di impegno meramente “spontaneo” e volontario!
Per evitare vuoti di tutela in questo senso, e nel difetto di una normativa nazionale (convenzionale o legislativa) che regoli i “conflitti di lealtà/coscienza” del Lavoratore/Fedele, si può valutare l’introduzione, in sede sindacale (meglio nazionale) di norme che estendono i consueti permessi di volontariato a quest’ultima tipologia di personale ex. l. 266/1991, equiparando il “laico” di Azione Cattolica e simili al cittadino che svolga attività di volontariato.   
Non è mia intenzione dilungarmi ulteriormente in casistiche e sottigliezze. Credo comunque che la Chiesa, tramite gli Uffici Pastorali del Lavoro nelle singole Diocesi, possa e debba portare avanti queste esigenze di tutela, operando la dovuta sensibilizzazione sui Sindacati, sulla Giurisdizione e sul Legislatore, affinchè sia data tutela sempre più effettiva ai “diritti della fede”.

Dr. Giorgio Frabetti, Consulente d'Azienda in Ferrara

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