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lunedì 17 settembre 2012

IL "FORO" DELLE PARTITE IVA (FINTE)


Un argomento che non mi risulta trattato (almeno in modo conclamato) a seguito della riforma Monti-Fornero è quello del Foro competente a decidere della controversie di lavoro delle Partite IVA, con riguardo al probabile (e senza tema di catastrofismi aggiungiamo "terrificante") contenzioso che verosimilmente verrà a generarsi.
Una prima "mappatura" appare abbastanza agevole.
Innanzitutto, bisogna considerare l'art. 01.24°comma e la "novella" da esso apportato al D.lgs. 276/2003 (art. 69-bis) che equipara le prestazioni svolte dal Titolare di Partiva IVA "finto" (come da indici ex. l. 92/2012) alle collaborazioni coordinate e continuative.
Riteniamo che questa equiparazione sia sufficiente ad inquadrare le prestazioni succitate nell'ambito del "rito del lavoro" ai fini dell'art. 409.01°comma lett.c), ma soprattutto dell'art. 413 del Codice di Procedura Civile, che radica (al comma 04) tali controversie presso il "domicilio" del Collaboratore (secondo la ratio agevolativa ex. l. 128/92).
Dubbi, invece, sorgono in relazione a quella parte della "novella" (Art. 69-bis.03°comma) dove si determina la non applicabilità della suddetta presunzione di collaborazione coordinata e continuativa (soglia reddituale superiore al minimale, spendita di competenze teoriche etc.).
Che ne è se in tal caso, non coperto da presunzione di "parasubordinazione" e quindi oggetto di iniziativa ex officio del personale ispettivo, il Collaboratore "monocommittente" accusa il lavoro subordinato? A quale foro deve rivolgersi?
La mia personale convinzione è che in questi casi continui ad operare il Foro del domicilio del Collaboratore.
Se è vero, infatti, che tale fattispecie non è coperta dalla disposizione di "assimilazione" alla collaborazione coordinata e continuativa ex art. 69-bis (riferita all'esclusione del "progetto", è però altrettanto vero che è ben poco realistico escludere che il rapporto non venga a configuarsi secondo i crismi della "coordinazione", della "continuità" e dell'apporto "personale".
La cococo uscita dalla porta rientra dalla finestra?
Parrebbe proprio così, stante la circostanza che il lavoro autonomo, per quanto spurio sia, difficilmente troverà evidenza processuale in termini di lavoro subordinato tout court: questo perchè il Collaboratore "finto a Partita IVA" (come l'Agente e il Rappresentante di Commercio) si è frattanto fiscalmente dedotto costi, ha versato imposte come un prestatore di servizi in qualche modo organizzato ed è molto difficile raggiungere in modo "diretto" l'evidenza del lavoro subordinato, almeno per il difetto di uno dei requisiti-base, ossia la totale estraneità del lavoratore, anche "finto autonomo" dall'organizzazione dei fattori produttivi.
E del resto, a queste condizioni diventa molto facile per il Lavoratore radicarsi nel criterio di competenza a lui più favorevole (il Foro del suo domicilio). La prova, abbastanza facile e sommaria, non determina particolari rischi di contestazioni in sede di regolamento della competenza.

Dr. Giorgio Frabetti
Consulente d'Azienda in Ferrara

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