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giovedì 8 novembre 2012

I LICENZIAMENTI INDIVIDUALI SECONDO LA LEGGE MONTI-FORNERO, PRIME APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI


TIZIO (Lavoratore): "Confido per martedì 24 luglio di avere i rilievi con le tempistiche di modifica dei programmi"
CAIO (Datore di Lavoro): "Non devi confidare: Devi aver pianificato l'attività, quindi, se hai dato come data il 24/07, deve essere quella la data di consegna dei dati. Altrimenti, indichi una data diversa, che non è confidente, ma certa, per favore".
TIZIO (Lavoratore): "Parlare di pianificazione nel Gruppo è come parlare di psicologia con un maiale, nessuno ha un minimo sentore di cosa voglia dire pianificare una minima attività in questa Azienda. Pertanto, se Dio vorrà, per martedì 24/07/2012, avrai tutto quello che ti serve".
 
A questa conversazione via mail (o Skype non è chiaro) faceva seguito un licenziamento per giusta causa.
Essendo il licenziamento caduto dopo il 18/07/2012, la successiva vertenza giudiziale è stata decisa in applicazione del nuovo articolo 18, come riformato dalla legge 92/2012 (Monti-Fornero), con ordinanza del Tribunale di Bologna 15/10/2012.
Nel caso di specie, il Tribunale, costituito in funzione di Giudice del Lavoro, ha dichiarato l'applicazione della reintegra ex. art. 18.04°comma l. 92 cit. (ricorrendone i requisiti dimensionali) rilevando l' "insussistenza del fatto contestato".
Vediamo come il Tribunale felsineo ha motivato (massimazione di Guida al Lavoro nr. 43/2012):
 
"Per 'insussistenza del fatto contestato', si deve intendere il cd 'fatto giuridico', cioè il fatto globalmente accertato, nell'unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente all'elemento soggettivo e non invece al solo 'fatto materiale'".
 
Diversamente argomentando, si sottolinea,
 
"si determinerebbe una violazione dei principi generali dell'ordinamento civilistico, relativi alla diligenza e alla buona fede nell'esecuzione del rapporto lavorativo, posto che si potrebbe giungere ad applicare la semplice sanzione indennitaria anche a comportamenti privi dell'elemento psicologico o addirittura dell'elemento della coscienza e della volontà dell'azione".
 
Come motivazione subordinata, si riporta la seguente:
 
"Si deve ritenere che il comportamento del lavoratore che risponda via e-mail in modo polemico ad una richiesta del superiore gerarchico, rientri tra le 'condotte punibili con una sanzione conservativa (art. 18.04°comma St. lav.), avuto riguardo alla disposizione del CCNL Metalmeccanici (applicabile al rapporto di lavoro) che prevede la fattispecie della cd "lieve insubordinazione nei confronti dei superiori".
 
Così il Tribunale bolognese motiva l'ascrizione della tutela anti-licenziamento nel caso di specie alla reintegra ex. art. 18 nuova versione.
Come acutamente argomentato da PIZZUTI in Guida al Lavoro citato, il secondo motivo è decisamente debole e si presta a valutazioni molto fosche circa la congruità della previsione della Monti-Fornero. Se è vero, infatti, che le disposizioni del CCNL Metalmeccanici Industria ascrivono le "lievi insubordinazioni" a sanzioni conservative come ammonizione, sospensione e multa, conveniamo con chi ritiene che ciò non basti ad integrare quei requisiti di "tipizzazione" previsti dalla Monti-Fornero sui "provvedimenti conservativi" necessari per l'applicazione della reintegra.
MARESCA (Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo, RIDL, 2012, I) e VALLEBONA (L'ingiustificatezza qualificata del licenziamento, DRL, 2012,3) argomentano che la sanzione della reintegra è qui concepita come sanzione aggravata per colpire il Datore che disponga una sanzione espulsiva a fronte di un espresso impedimento normativo sicuramente e preventivamente conosciuto. Ma tali preclusioni devono essere tassative e riconoscibili dal Datore. Sarebbe quindi sproporzionato e assurdo applicare la stessa sanzione ai casi di inapplicabilità del licenziamento disciplinare dedotti in via interpretativa dal Giudice in forza di disposizioni discrezionali o clausole generali.
E tale è il caso di specie. 
Nel caso di specie, infatti, il discriminine tra sanzione conservativa e sanzione espulsiva è sì fissato, ma ricorrendo ad un tipico "elemento normativo" soggetto a valutazione discrezionale del Giudice in coerenza con la ratio che presiede il complesso apparato della regolazione delle procedure disciplinari (art. 07 l. 300/1970 in primis). Se il CCNL fissa unaratio per cui la culpa levis non può rilevare ai fini del licenziamento, è anche vero che lascia ex post alla discrezionalità datorile prima (e giudiziale poi) l'individuazione di questa sottile linea della culpa levis. Errori e carenze sotto questo versante possono e devono (come messo in evidenza da PIZZUTI) essere gestiti sul piano sanzionatorio sotto il versante della "giustificatezza" del licenziamento, ossia della riconduzione del licenziamento da parte del Datore ad una ratio conforme alla legge, previsione sanzionata con le diverse sanzioni indennitarie ex. art. 18.05°comma: ordine di risoluzione del rapporto e risarcimento tra 12 e 24 mensilità. Sotto questo versante, quindi, l'ordinanza felsinea appare debole e attaccabile.
Diverso è invece il caso che la norma disciplinare del CCNL escluda ogni discrezionalità datorile.
Di diverso peso, invece, e più acuta è l'altra argomentazione del Tribunale Bolognese.
Muovendo dal presupposto che il licenziamento disciplinare è disposto come reazione dell'Azienda ad un "atto illecito" del Dipendente, la sentenza, non senza finezza, argomenta "l'insussistenza del fatto", ove gli estremi (oggettivi e soggettivi) dell' "atto illecito" siano inesistenti. Parrebbe, addirittura, che la sentenza abbia inteso la nozione della "insussistenza" del fatto posto alla base del licenziamento disciplinare in senso omologo a "inesistenza"; una nozione "a monte" dell'ingiustificatezza, di grave e radicale insussistenza di qualsivoglia base per il licenziamento. Una conclusione, lo diciamo subito, molto coerente con la lettera e la ratio della riforma dei licenziamenti di Monti-Fornero.  
In conclusione, come si risolve il caso de qua?
Ragionare in astratto è poco appagante; è evidente che solo un esame approfondito della sentenza e dei fatti che l'hanno sorretta può darci l'esatta misura di quale ratio applicativa sia da ritenere prevalente e decisivo ai fini del giudizio.
Nell'impossibilità di un esame più lungo e approfondito, ipotizziamo che ai fini del giudizio finale sia decisivo e determinante il battibecco con cui abbiamo aperto questo post.
In questi termini, sarebbe ben difficile non condividere l'assunto del Tribunale Bolognese secondo il quale il licenziamento è radicalmente illegittimo per "insussistenza/inesistenza" dei presupposti. In effetti, a ricondurre (come mostra di fare PIZZUTI) la fattispecie in esame ad una tipica carenza di "giustificatezza", passibile di sanzioni indennitarie, si giungerebbe ad un esito certamente non in sintonia con la ratio e la gerarchia dei valori insiti nella riforma Monti-Fornero, che conserva la reintegra come sanzione tipicamente preordinata a punire gli "abusi" del Datore in sede di licenziamento.
In chiarissimo pendant con le disposizioni del comma 01 del nuovo articolo 18 l. 300/1970, che corredano di reintegra non solo i classici licenziamenti "nulli" (discriminatori, matrimonio etc.), ma anche quelli posti in essere "con motivo illecito determinante ex. art. 1345 del Codice Civile", la clausola della "insussistenza del fatto" posto a base del provvedimento disciplinare deve intendersi come "clausola generale" volta a colpire tutti i casi in cui il licenziamento disciplinare, pur dotato di una sua apparente giustificazione, in realtà sia pretestuoso o disposto per "eventi inoffensivi".
Un'ipotesi ricostruttiva suggestiva.
Senonchè, a ragionare in questi termini, si apre una rilevante questione di costituzionalità dell'art. 18.04°comma, come riformulato dalla legge Monti-Fornero. Articolo, che, nella formulazione attuale, è applicabile solo nelle aziende fino a 15 Dipendenti, ma che, proprio per le implicazioni punitive che lo connotano, lo rendono legittimamente accostabile ai casi di reintegra disciplinati dal 01°comma e applicabili, indipendentemente dal limite dimensionale. Applicare in un caso la riserva dei 15 dipendenti e non applicarla nell'altro non appare più giustificabile ex. art. 03 Cost., nella misura in cui si viene a connotare la "reintegra" in senso più marcatamente "personalistico" e "anti-abuso". E non può più bastare, secondo noi, a questo riguardo, invocare una specie di nuovo principio di "frammentarietà" che presiederebbe la nuova "reintegra piena" ex. art. 18.01°comma (MARESCA) a favore della diversa "reintegra attenuata" del comma 04.
La "reintegra", quindi, dichiarata morta con la riforma Monti-Fornero, potrebbe rivelarsi viva e vegeta, aldilà di ogni aspettativa.

Dr. Giorgio Frabetti
Consulente d'Azienda in Ferrara

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