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giovedì 31 gennaio 2013

ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO EX. ART. 445-BIS CPC: LA MANCATA INDICAZIONE DEL VALORE PROVOCA L'INAMMISSIBILITA' DEL RICORSO

AVVERTENZA: Pubblichiamo volentieri un contributo dell'Avv. Michele Iapicca (Cosenza), relativo ad uno dei diversi problemi applicativi del nuovo procedimento ex. art. 445-bis CPC ("accertamento tecnico preventivo") in materia di trattamenti di invalidità. 


Per come noto, il Decreto Legge del 6/7/11 n. 98, convertito con modificazioni con la L. 111/11, all’art. 38 comma I lettera b) n. 1 stabilisce:
Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 445 è inserito il seguente:
Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio).
Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile., presso il Tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
Le sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma precedente sono inappellabili.”
Più importante è, però, la SUBDOLA modifica introdotta sempre dalla stessa Legge, medesimo articolo, al comma I, lettera b) n. 2 che all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunge il seguente periodo: «
A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso,formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Pare proprio che questa modifica, sia stata presa ‘alla lettera’ (dura lex, sed lex) dai Magistrati di quasi tutte le sezioni Lavoro-Previdenza ed Assistenza che, per i ricorsi privi del detto requisito, depositati dal 7/7/11 in poi, sono concordi nell’applicare (D’UFFICIO) la sanzione della INAMMISSIBILITA’ del ricorso, sanzione che rischia di produrre effetti preclusivi per i diritti del cittadino ricorrente (es. decadenza).
Alcuni Tribunali, al fine di evitare questi effetti preclusivi, per tempo, hanno pubblicato linee guida da seguire ‘alla lettera’.
Un esempio è il Tribunale di Rieti http://www.tribunale.rieti.giustizia.it/articoli.php?id_articolo=154 che, proprio nell’intento di ridurre il più possibile le incertezze applicative del nuovo procedimento, almeno nella fase iniziale, suggerisce il contenuto minimo che il ricorso ex art. 445 bis cpc deve contenere:
a) a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 414 n. 3 e dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., l’indicazione specifica della prestazione assistenziale richiesta;
b) a pena di inammissibilità, l’indicazione delle fasi del pregresso procedimento amministrativo, compresa la provvidenza inizialmente richiesta e l’esito del procedimento;
c) la dichiarazione sostitutiva relativa al requisito reddituale, ai fini del­l’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza (art. 152 disp. att. c.p.c.);
d) a pena di inammissibilità – ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ultimo periodo, introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2), d. l. 5 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111 – la dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio.
In attesa che qualcuno sollevi la rilevanza costituzionale della ingiusta preclusione, ovvero che il legislatore intervenga a sostegno del cittadino, tutti noi ‘operatori del diritto’ siamo pregati di osservare scrupolosamente le linee guida che ci vengono indicate.
Per come noto, il Decreto Legge del 6/7/11 n. 98, convertito con modificazioni con la L. 111/11, all’art. 38 comma I lettera b) n. 1 stabilisce:
Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 445 è inserito il seguente:
Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio).
Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile., presso il Tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
Le sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma precedente sono inappellabili.”
Più importante è, però, la SUBDOLA modifica introdotta sempre dalla stessa Legge, medesimo articolo, al comma I, lettera b) n. 2 che all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunge il seguente periodo: «
A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso,formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Pare proprio che questa modifica, sia stata presa ‘alla lettera’ (dura lex, sed lex) dai Magistrati di quasi tutte le sezioni Lavoro-Previdenza ed Assistenza che, per i ricorsi privi del detto requisito, depositati dal 7/7/11 in poi, sono concordi nell’applicare (D’UFFICIO) la sanzione della INAMMISSIBILITA’ del ricorso, sanzione che rischia di produrre effetti preclusivi per i diritti del cittadino ricorrente (es. decadenza).
Alcuni Tribunali, al fine di evitare questi effetti preclusivi, per tempo, hanno pubblicato linee guida da seguire ‘alla lettera’.
Un esempio è il Tribunale di Rieti http://www.tribunale.rieti.giustizia.it/articoli.php?id_articolo=154 che, proprio nell’intento di ridurre il più possibile le incertezze applicative del nuovo procedimento, almeno nella fase iniziale, suggerisce il contenuto minimo che il ricorso ex art. 445 bis cpc deve contenere:
a) a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 414 n. 3 e dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., l’indicazione specifica della prestazione assistenziale richiesta;
b) a pena di inammissibilità, l’indicazione delle fasi del pregresso procedimento amministrativo, compresa la provvidenza inizialmente richiesta e l’esito del procedimento;
c) la dichiarazione sostitutiva relativa al requisito reddituale, ai fini del­l’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza (art. 152 disp. att. c.p.c.);
d) a pena di inammissibilità – ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ultimo periodo, introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2), d. l. 5 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111 – la dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio.
In attesa che qualcuno sollevi la rilevanza costituzionale della ingiusta preclusione, ovvero che il legislatore intervenga a sostegno del cittadino, tutti noi ‘operatori del diritto’ siamo pregati di osservare scrupolosamente le linee guida che ci vengono indicate.

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