AVVERTENZA

AVVERTENZA:
QUESTO E' UN BLOG DI MERA "CURA DEI CONTENUTI"
GIUSLAVORISTICI (CONTENT CURATION) AL SERVIZIO DELLE ESCLUSIVE ESIGENZE DI AGGIORNAMENTO E APPROFONDIMENTO TEORICO DELLA COMUNITA' DI TUTTI I PROFESSIONISTI GIUSLAVORISTI, CONSULENTI, AVVOCATI ED ALTRI EX. L. 12/1979.

NEL BLOG SI TRATTANO "CASI PRATICI", ESEMPLIFICATIVI E FITTIZI, A SOLO SCOPO DI STUDIO TEORICO E APPROFONDIMENTO NORMATIVO.

IL PRESENTE BLOG NON OFFRE,
NE' PUO', NE' VUOLE OFFRIRE CONSULENZA ONLINE IN ORDINE AGLI ADEMPIMENTI DI LAVORO DI IMPRESE, O LAVORATORI.

NON COSTITUENDO LA PRESENTE PAGINA SITO DI "CONSULENZA ONLINE", GLI UTENTI, PRESA LETTURA DEI CONTENUTI CHE VI TROVERANNO, NON PRENDERANNO ALCUNA DECISIONE CONCRETA, IN ORDINE AI LORO ADEMPIMENTI DI LAVORO E PREVIDENZA, SENZA AVER PRIMA CONSULTATO UN PROFESSIONISTA ABILITATO AI SENSI DELLA LEGGE 12/1979.
I CURATORI DEL BLOG, PERTANTO, DECLINANO OGNI RESPONSABILITA' PER OGNI DIVERSO E NON CONSENTITO USO DELLA PRESENTE PAGINA.




mercoledì 13 febbraio 2013

NIENTE COMIZI IN AZIENDA! QUANDO LA POLITICA DISCRIMINA I DIPENDENTI?

Quesito:
Sono una Dipendente di un'Azienda di Marketing, e milito in un partito politico, che non coincide precisamente con quello del Titolare (a sua volta, attivista/dirigente di un altro partito). In Ufficio, le mie colleghe conoscono il mio pensiero e qualche volta se ne parla. Un bel giorno, mi vedo comparire nella bacheca aziendale una scritta "IN UFFICIO NON SI FA POLITICA, SI LAVORA! CHIUNQUE CONTRAVVIENE SARA' SOTTOPOSTO A PROCEDURA DISCIPLINARE".  Non solo, ma ricevo dalle Colleghe l'avvertimento che il Titolare le ha convocate separatamente (e senza dirmi niente, tra l'altro) facendo loro chiaramente capire che, se avessero votato secondo i di lui desideri, avrebbe sbloccato alcune questioni sospese da tempo (pagamento premi di produzione etc.). Siccome io in Ufficio non ho un ruolo di secondo piano, e spettava anche a me valutare e istruire le pratiche di "produttività" cui il Titolare faceva cenno, io ho interpretato il gesto del mio Datore di Lavoro non solo come gravemente offensivo sul piano personale, ma come rivolto a creare una persecuzione a sfondo politico nei miei riguardi. Come mi devo comportare?

Risposta: 
I quesiti sottoposti sono decisamente gravi, ma è chiaro che, non essendo Noi "dentro" la situazione poco possiamo dire di specifico, salvo fornirLe alcune linee generali tratte dalla legge, dalla giurisprudenza e ... dal buon senso, che Lei (a Sua discrezione e responsabilità) potrà declinare nel caso specifico.
Lo Statuto dei Lavoratori, legge 300/1970, in questo confermato anche dalla legge 92/2012, ha inaugurato la linea della "mano pesante" sui licenziamenti motivati da discriminazioni politiche, facendo seguito alle note (e discusse) battaglie dell'Autunno Caldo. Queste disposizioni hanno codificato la nullità radicale del licenziamento motivato da ragioni di ordine discriminatorio.
Nessun dubbio che la norma rivesta un carattere di insuperabile civiltà giuridica: la politica (come la fede religiosa etc.) afferisce al mondo del pensiero, costituzionalmente libero e intangibile. Punire "chi la pensa diversamente da te" sarebbe come fare un ... processo alle intenzioni, assolutamente da "secoli bui".
Ciò posto si pone il problema della prova della discriminazione!
In effetti, come ribadito da Cass. 14816/2005, ai fini di configurare la prova della discriminazione (nel caso di licenziamento) a causa dell'attività sindacale del lavoratore o del carattere ritorsivo del licenziamento a seguito di iniziative legittimamente adottate dal lavoratore nei riguardi del datore, “occorre specificatamente dimostrare, con onere a carico del lavoratore, che l'intento discriminatorio e di rappresaglia per l'attività svolta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fattori rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo; in particolare, ai fini dell'accertamento dell'intento ritorsivo del licenziamento, non è sufficiente la deduzione dell'appartenenza del lavoratore ad un sindacato, o la sua partecipazione attiva ad attività sindacali, ma è necessaria la prova della sussistenza di un rapporto di causalità tra tali circostanze e l'asserito intento di rappresaglia, dovendo, in mancanza, escludersi la finalità ritorsiva del licenziamento” 
Prova in sè diabolica, che va gestita con suprema attenzione, perchè può rivelarsi un' arma a doppio taglio in capo allo stesso Lavoratore, che rischia di vedersi denunciato per diffamazione (l'affermazione pubblica di discriminazioni e condotte persecutorie, in quanto non provata, può dar luogo a quella speciale ipotesi di reato di ingiuria che è la diffamazione).
Ad una scorsa generale della giurisprudenza in materia, possiamo dire che se la prova "diretta" della persecuzione datorile è difficile da imbastire, meno lo è quella presuntiva, indiretta.
In effetti, è molto autorevole quella opinione che ritiene di poter dedurre la prova "indiretta" (AMOROSO, 1998) della discriminazione, nei termini di una "prova di resistenza" del licenziamento per giustificato motivo oggettivo: se, cioè, le motivazioni "tecniche" addotte dal Datore a sostegno del licenziamento non reggono, e il Lavoratore è comunque appartenente a organizzazione politica avversa a quella del Datore, allora lì si può ammettere la prova "presuntiva" della discriminazione.
Un'opinione molto illuminata, purtroppo non ancora recepita adeguatamente in giurisprudenza, ma che, a Ns. parere, permette di identificare in ogni modo un criterio di "buona prassi" con cui gestire le casistiche di interesse e la Sua, in particolare.
La libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) va evidentemente bilanciata con le legittime esigenze organizzative del Datore di Lavoro, consacrate dall'art. 2103 del Codice Civile e riconosciute ex. art. 41 Cost.
Da quello che sappiamo, ci pare di poter escludere, nel Suo caso, la speciale possibilità di licenziamento concessa al Datore di Lavoro nelle organizzazioni di tendenza, dato che, da quello che comprendiamo, restiamo nell'ambito di un'organizzazione aziendale e non no profit.
Inoltre, le Aziende di marketing sono inquadrate nel settore Commercio e il CCNL non determina divieti e restrizioni (come per il Settore Scuola, ad esempio) per l'iscrizioni ad Associazioni extra lavorative.
Quindi, di massima, l'iscrizione a partiti politici, pur se diversi a quelle del Datore, non genera violazioni degli obblighi di fedeltà ex. art. 2105 Codice Civile.
Saremmo anche a dire che queste vicende attengono alla vita privata del Dipendente, il quale, di massima,
ha ragione ad invocare una giusta dose di Privacy e non appare tenuto a dar conto di cosa fa fuori dal lavoro: se frequenta l'Azione Cattolica, o l'Associazione degli Atei, se è iscritto al PDL, ovvero al PD etc. Solo in un caso "l'iscrizione" ad un'Associazione è in sè vietata e valutata come infedele: trattasi della specialissima disposizione della legge 25 gennaio 1982 nr. 17 sulle "associazioni segrete", che impone sanzioni disciplinari per i Dipendenti Pubblici e collegati (art. 04), non per i lavoratori in generale, anche solo iscritti a dette organizzazioni. Con ciò, la disposizione, evidentemente eccezionale, lascia intendere che, fuori da questo ambito, l'iscrizione ad un partito, associazione (tranne il caso dell'organizzazione "di tendenza") non può essere addotto come prova di "infedeltà" lavorativa.
Ciò posto, se l'iscrizione in sè non può costituire elemento di incompatibilità/infedeltà con l'organizzazione lavorativa, il punto è un altro: è essenziale valutare se l'appartenenza politica della Dipendente  crea effettivi problemi all'organizzazione aziendale! Questo è l'aspetto su cui si gioca l'esatto bilanciamento di diritti e obblighi tra Lavoratore e Dipendente nella citata fattispecie.
Ciò posto, veniamo ad inquadrare il comportamento del Suo Datore di Lavoro, nei termini ovviamente che Lei ci ha offerto.
Di per sè, non è errato il richiamo del Suo Datore di Lavoro  "NON SI FA POLITICA IN UFFICIO" (che pure assomiglia ad un noto slogan che si trovava nei locali del Partito Nazionale Fascista dagli anni 20 agli anni 40 ...): in Ufficio, si lavora, non si fanno chiacchiere!
Ciò posto, però, e, sempre stando alle informazioni da Lei offertemi, non posso non rilevare l'improprietà del messaggio aziendale e la sua illegittimità di fondo: scritto così come è ora, parrebbe configurare una sanzione disciplinare indiscriminata a tutti coloro che parlano di politica, anche occasionalmente ... L'illazione del carattere intimidatorio si lascia apprezzare (pur non potendo esprimere un parere definitivo) ...
Il punto è che se l'attività politica del Dipendente è in sè lecita, è onere della prova del Datore evidenziarne con adeguato dettaglio e motivazione le possibili incompatibilità e le difficoltà che essa può generare effettivamente sul luogo di lavoro. E (aggiungiamo) è conforme a "buona fede" (art. 1375 Codice Civile) che il Dipendente collabori a preservare il Datore da siffatte problematiche e fastidiose interferenze (se ci sono). E' evidente che si tratta di verifiche da compiersi "dati alla mano", lealmente, senza mai determinare censure, ma senza spirito inquisitorio e poliziesco.
A quali difficoltà e problematiche sul versante organizzativo può dar luogo l'attività politica del Dipendente?
Innanzitutto, occorre verificare a che titolo il Dipendente si impegna nell'organizzazione politica.
Qui, la gamma dei comportamenti che il Dipendente può spendere nel partito spazia a vario livello: dall'attività di mero volantinaggio, alla mera propaganda (che censurare in sede disciplinare sarebbe patentemente discriminatorio!), alla stessa attività contabile, che ben il Dipendente può svolgere contemporaneamente per l'Azienda e per il Partito.
Purtroppo, non si può fare a meno di notare che, se il Dipendente è chiamato a svolgere entro l'Azienda attività decisionali, è diritto del Datore verificare se queste facoltà non possano essere in qualche modo condizionate dall'appartenenza politica del Dipendente (in analogia con la giurisprudenza commercialistica sul "conflitto di interessi" del Socio di Società per Azioni).
Venendo al caso di cui al Suo quesito, possiamo dire quanto segue.
La Sua personale posizione in Azienda, che la vede preposta a valutazioni discrezionali molto sensibili (come la "produttività"), è una di quelle che certamente si prestano ad essere valutate, onde verificare se per caso la "fede politica" non possa influenzare le valutazioni tecniche che le sono commissionate (che, come tali, devono rimanere imparziali).
Sicuramente, è conforme a "buona fede" e a senso di responsabilità porsi questo dubbio.
Sul punto, non possiamo dire oltre, perchè non vogliamo giudicare le attuali fonti di attrito e conflitto con il Suo Capo: ma certamente, è necessario (oltrechè opportuno) avviare un confronto leale e onesto sulle possibili negative interferenze dell'appartenenza politica sull'organizzazione di lavoro. E soprattutto mettere chiaramente "nero su bianco" che l'imparzialità, nell'interesse dell'Azienda, deve essere richiesta non solo ai Lavoratori Dipendenti, ma anche al Datore di Lavoro (se, a sua volta, impegnato in Politica): proprio perchè in Ufficio non si fanno comizi, ma si produce!

Nessun commento:

Posta un commento