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lunedì 11 marzo 2013

DECRETO 13/2012 SULLA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE E APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE


Con l'entrata in vigore del D.lgs. 16/01/2013 relativo alla cd "delega" sulla certificazione delle competenze ex. art. 04.52-53° comma l. 92/2012), acquistano attualità applicativa dubbi e interrogativi relativi all'impatto di questa disciplina con l'art. 06 del D.lgs. 167/2011 (TU apprendistato). Dubbi tanto più rilevanti, considerando che, date le intenzioni con cui fu promosso il TU app. (ufficialmente non smentite nelle more dell'approvazione della riforma del lavoro di giugno 2012), l'art. 06 avrebbe dovuto costituire un "punto di arrivo" in termini di consolidamento/stabilizzazione di una materia largamente deficitaria e lacunosa, come gli standard formativi nel contratto di apprendistato.
Molti dubbi, infatti, nascono in relazione alla circostanza che il recentissimo D.lgs. 13/2013 possa aver stravolto tale prospettiva, marginalizzando l'importanza (anche ai fini sistematici della "formazione formale") dell'art. 06 D.lgs. 167. Vivissime, in questo senso, erano state le proteste di TIRABOSCHI, il quale aveva lamentato il "tradimento" dellepolicy di cui al TU, concepite, a suo dire, non tanto e non solo come termini per conferire certezza e stabilità aglistandard formativi dell'apprendistato (invero problematici e ballerini), ma come trampolino di lancio per una riscrittura del "sistema della formazione e della qualificazione professionale" che conferisse centralità alla contrattazione collettiva.
Aldilà di facili polemiche e rampogne, però, non può sfuggire la netta impressione che "apprendistato" e "validazione competenze ex. D.lgs 13" viaggino su binari paralleli, ma non comunicanti, per le specifiche finalità e accentuazioni con cui la formazione è richiamata.
Certo, non può sfuggire la constatazione che il recentissimo D.lgs. 13 abbia inteso definire "norme-quadro" entro un sistema complesso e multiforme: e questo al preminente scopo di uniformare l'applicazione di un sistema, la formazione e la qualificazione, non solo per razionalizzarne e ottimizzarne l'impatto a beneficio intrinseco del mercato del lavoro, ma anche per sottrarre la materia a incertezze, duplicazioni interpretative, tuttora sempre in agguato, a causa del sovrapporsi di una disordinata congerie di normative locali (regionali in primis), assolutamente esiziali in quanto destinate a generare incertezza sul contenuto delle qualifiche proposte.
A scanso di equivoci, quindi, si deve mantenere fermo che tali norme sono funzionali non a costituire in capo ai Lavoratori competenze del tutto teoriche e astratte, ma a rendere più efficiente il riconoscimento in capo ad essi di competenze, non tanto e non solo secondo "realtà", ma anche secondo standard uniformi. 
Irrigidimento formalistico? Può darsi, ma dobbiamo comunque metterci nell'ottica che le "competenze" non "cadono dal cielo" come nel vecchio regime del collocamento obbligatorio in mano pubblica, ma sono frutto di dialettica a tutti i livelli: politico-sindacale, amministrativa, contrattuale-individuale e che in tale dialettica inevitabile è destinato ad evidenziarsi il riconoscimento delle competenze.
Ciò chiarito, nella prospettiva di una ratio e di una finalità strettamente "funzionalistica" della riforma delle competenze, è giocoforza inquadrare le norme, in un assetto interpretativo, logico e sistematico armonioso e coerente.
Ma iniziamo con ordine.
Il primo problema applicativo riguarda l'art. 04.52-53°comma l. 92/2012 sugli "apprendimenti formali/informali": come si collega questa norma con l'apprendistato? Pochi dubbi possono residuare intorno alla circostanza che negli "apprendimenti formali" possano inquadrarsi l'apprendistato di primo e di terzo tipo (qualifica professionale e alta formazione). Viceversa, molto più complesso e difficile è comprendere come in esso si situi l'apprendistato professionalizzante/contratto di mestiere.
A stretto rigore di termini, il D.lgs. ha provveduto ad arricchire la nomenclatura dell'art. 04.52-53°comma l. 92/2012 inserendo la specifica dei cd "apprendimenti non formali" quale "apprendimento caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi indicati alla lettera a), in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale e nelle imprese". La norma, a tutta evidenza, è sovrapponibile all'apprendistato professionalizzante.
Una disposizione molto chiaramente concepita come parziale recepimento in sede politica delle obiezioni di chi, come TIRABOSCHI, avrebbe desiderato un repertorio delle competenze gestito a livello di CCNL (in quanto livello più vicino alle imprese, prime destinatarie di tale repertazione!), nel timore che organismi "terzi", separati e accreditati dal Ministero potesse conferire astrattezza e rigidità al sistema. Una disposizione, che, però, obbliga, in termini di "politica del diritto" ad accentuare un'applicazione e un'interpretazione di tale normativa in senso "servente" rispetto ai bisogni effettivi del mercato, che non sia foriera di inutili sovrapposizioni burocratiche e formalistiche.  
Ma se l'intenzione politica è chiara e manifesta, assai poco chiara e coerente appare, invece la traduzione tecnico-giuridica di tale assunto: per l'insufficienza intrinseca dell'art. 06 D.lgs. 167/2011 a definire un sistema formativo "completo" e "auto-sufficiente" e per la non chiara integrazione ad esso fornita dal D.lgs. citato.
Sicuramente, un dato deve darsi per acquisito anche in sede esegetica: il D.lgs. ultimo è finalizzato a definire in modo sufficientemente certo ed assestato un sistema di "certificazione" delle competenze e della loro relativa "validazione"; l'art. 06, invece, forse più medestamente, aveva di mira la semplice "verifica" dei percorsi formativi svolti in apprendistato. Non ci si può sottrarre a questo punto dalla constatazione della conclamata diversità di ratio tra i due complessi normativi: finalità di autentica "pubblicità" nell'attestazione delle competenze, propria della l. 92/2012, validaerga omnes; semplice consolidamento di "elementi di prova" della validità/genuinità dell'apprendistato, l'art. 06 TU app., con ricadute sullo specifico sistema sanzionatorio e contrattuale (una valenza, cioè relativa e inter partes della qualifica, spendibile comunque in via di contrattazione individuale).
Di qui, una prima, anche se ancora approssimativa pista di interpretazione: con la specifica "interpretazione non formale", il D.lgs 2013 sulle competenze ha codificato un criterio applicativo tale per cui le nuove disposizioni sulla "certificazione delle competenze" si applicano sì all'apprendistato professionalizzante/di mestiere, ma con la fondamentale "riserva" della compatibilità con un sistema di generazione/attestazione delle competenze particolare, di fatto collaudato e consolidato dalla consuetudine, che fanno dell'apprendistato professionalizzante un contratto formativo, ma pur sempre calato nella specifica realtà (anche giuridica e non solo economica) dei contratti di impresa!
E' presto per declinare tutte le possibili ricadute applicative di tale assunto, ma una riflessione la si può declinare già adesso con certezza: la non totale e completa sovrapposizione tra D.lgs cit. e art. 06 impedisce di valutare qualunque carenza nella "certificazione delle competenze" dell'apprendista professionalizzante ex. l. 92/2012 come nullità dell'apprendistato o come legittimante le gravi sanzioni a carico del Datore che ostacoli/impedisca la formazione, consentendo cioè che l'adempimento dei percorsi formativi dell'apprendista si possa situare a livello del CCNL, anche se questo dovesse essere disallineato rispetto agli standard professionali ex. D.lgs. 2013, ma tale da non precludere in senso assoluto l'occupabilità dell'apprendista. Tale norma, cioè, evita che la prova della nullità dell'apprendistato/della carenza della formazione sia data in riferimento allo standard massimo del D.lgs. 2013, ma pare situare tale prova ad un livello medio (la conformità del percorso formativo al CCNL). Con ciò, evitando in capo al Datore di Lavoro l'onere di una diligentia maxima nella formazione dell'apprendista, modulandola su un livello tendenzialmente più basso.
Nè a mio modesto parere può darsi diversa soluzione, considerando lo specialissimo modo con cui, per consuetudine inveterata, nell'apprendistato la formazione dell'apprendista agisce in "adattamento", in "sequela" del processo produttivo, in cui può davvero essere improbo, se non impossibile un tradizionale e metodico "percorso formativo" d'aula (ossia ortodosso).

Collaboratore Studio Landi Francesco Consulente del Lavoro, Ferrara
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