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mercoledì 4 settembre 2013

UN GIORNO IL LAVORO COME LO CONOSCIAMO OGGI NON ESISTERA' PIU'?

Su gentile segnalazione dell'Avv. Michele Vissani, un pezzo per animare la discussione sul mercato del lavoro.
Tratto dal link: http://www.propostalavoro.com/benessere-e-lavoro/legislazione-e-sicurezza/il-lavoro-che-sara

di Simone Caroli-
Sarà un fenomeno sociologico antiquato, relegato alla memoria, inattuale.
Del resto, non più di vent'anni fa sarebbe stato assolutamente inconcepibile un ritorno di fenomeni contrastati e scomparsi, come il lavoro acottimo, che ora, grazie alla nostra pletora di contratti di lavoro che non prevedono stipendio fisso, ferie retribuite, permessi di malattia ed ore di lavoro straordinarie, sono diventati la normalità per una sempre più vasta schiera di lavoratori.
Il rapporto di lavoro tradizionale è fondato su un assunto fondamentale: una persona vende il proprio tempo in cambio di una somma di denaro, proporzionata al tempo sottratto ad altre attività e alla qualità del lavoro svolto.
Non è una considerazione da poco: secondo questa logica un'ora di lavoro non pagata costituisce poco meno che un furto: per fare un paragone, è come se su quarantacinque diamanti estratti in una settimana, cinque venissero regalati, senza motivo, all'acquirente.
Ora viene considerato naturale trattenersi sul posto di lavoro fino al raggiungimento del “risultato” voluto dai superiori.
I rischi del presente sono le minacce del futuro: è possibile, più che possibile, che un giorno sarà ai vertici una classe dirigente formata in un periodo in cui il lavoro dipendente non è più la regola ( o lo standard, come si usa dire) e che considererà normale proseguire sulla strada dello sfruttamento del lavoratore come mera “risorsa umana” dell'impresa, al pari di qualsiasi altra risorsa materiale. Una classe dirigente, forse, nata dal mondo del lavoro autonomo involontario.
Già ora, nel presente, la nostra Carta Costituzionale, quella che all'art.1 dice “fondata sul lavoro”, non è sufficiente a garantire ad ogni lavoratore il “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.  Eppure è quanto scritto all'articolo 36 dai Costituenti, gli stessi che cercarono di risollevare il Paese dopo un ventennio di dittatura.
I fenomeni più sconcertanti, purtroppo, saltano prima all'occhio economico che a quello legale-giuridico: un lavoratore che presta il proprio operato gratuitamente non sta semplicemente compiendo una scelta per sé, ma sta anche abbassando il livello salariale medio per tutta la sua categoria. Infatti, se le imprese si accorgono che una certa posizione è teoricamente ricopribile da volontari senza rinunciare alla qualità del risultato, allora vi saranno sicuramente lavoratori professionisti disposti a ridurre il loro stipendio per non perdere il posto di lavoro.
Fantasie? Chiedetevi quanti freelance si prestano per “visibilità” ed “esperienza” e qual è l'atteggiamento dei colleghi nei loro confronti. Il caso dei bloger non pagati da Huffington Post in Italia è un esempio lampante.
Chi sono quindi ora i lavoratori? Partite IVA, “professionisti”, lavoratori a progetto non possono essere messi sullo stesso piano di lavoratori dipendenti. Un baratro separa queste due grandi categorie: anagrafico, legale, economico.
Ogni legge scritta a favore dei lavoratori è basata sull'assunto che il lavoro sia dipendente e a tempo indeterminato. Attualmente le rilevazioni statistiche vedono i lavoratori di questo tipo costituire solo la metà (peraltro scarsa) della forza lavoro nazionale, quella difesa da sindacati ed istituzioni “all'antica”.
Attualmente la forza motrice dell'economia è costituita da temerari che accettano di mettersi in proprio, di aprire una partita IVA e, volontariamente o meno, di affidarsi a “committenti” (ovvero, datori di lavoro che rifiutano questa qualifica) per poter svolgere un'attività lavorativa, spesso sotto-pagata e sotto-garantita. Ora abbiamo lavoratori autonomi senza libertà di orari e di scelta dei committenti e lavoratori dipendenti che si sobbarcano rischi imprenditoriali, tutti accomunati dalla medesima precarietà.
Molto spesso è difficile riconoscere le minacce al lavoro.
Si è insediata la convinzione che molti posti di lavoro siano facilmente sostituibili, che il rischio di avviare un'attività imprenditoriale possa ricadere sul lavoratore (in)dipendente, che la formazione di un giovane sia più un fastidio che un investimento: è insomma emersa una generazione di imprenditori che non hanno idea di come creare valore, ma che sono pienamente consci dei mezzi legali a loro disposizione per abbassare di anno in anno i costi del lavoro. Esistono “datori di lavoro” che chiedono prestazioni in cambio di provvigionibonus o addirittura in cambio di ritorni non economici, come “esperienza” o addirittura, come si diceva, la mera “visibilità”. Voi vendereste i diamanti che avete estratto in cambio di esperienza come venditori o come pubblicità alla vostra attività estrattiva? Esistono persone, in Italia, che riescono a fare qualcosa di molto simile. Esistono anche datori che, sentendosi minacciati dall'alto grado di istruzioni dei candidati, rifiutano di assumere personale più istruito e qualificato.
Quali saranno le estreme conseguenze? Forse un giorno la partita IVA sarà una condizione necessaria per avere un posto di lavoro. Forse anche operai e muratori saranno pagati, a posteriori, in base al “risultato”, e solo se questo verrà giudicato idoneo da un supervisore. Forse scomparirà il concetto di volontariato, quando questo istituto, nobilissimo, finirà per confondere i propri confini con quelli del rapporto di lavoro. Forse non vi sarà più solidarietà tra lavoratori, ognuno impegnato a rendere più del collega, ad emergere per non essere licenziato.
Da che parte staranno gli “autonomi involontari” di domani? Con Confindustria o con i sindacati?
Questi sono i motivi per cui non bisogna mai smettere di diffondere la cultura ed i valori del lavoro. Non possiamo permettere che le nuove generazioni perdano la memoria di quello che vuol dire avere un lavoro libero e dignitoso, che conoscano la differenza tra il rischio imprenditoriale ed il rischio di licenziamento, che prendano coscienza di cosa ha comportato per noi l'impoverimento di questi valori.
Il lavoro (di fatto) dipendente ricompensato esclusivamente sul risultato non deve diventare la norma, ma un indice dell'incapacità imprenditoriale del datore. Il lavoro retribuito con “visibilità”, “senso della mission” o “esperienza” dovrà tornare ad avere il suo vero nome: volontariato.
Il lavoro è stato a lungo svilito per permettere gli interessi di parti contrastanti, a danno sempre e comunque della forza lavoro. Lo scopo di Pro-Post@ Lavoro non è quindi solo quello di dare notizie sul mondo del lavoro ed aggiornare i lettori sui cambiamenti in atto, ma anche e soprattutto quello di preservare e diffondere i valori di fondo e la cultura del lavoro, messi ora in pericolo da logiche di mercato e politiche indifferenti.
Leggere i nostri articoli significa già far parte di quest'opera di salvaguardia etica e culturale.
Sarà una stagione di novità per il nostro sito, e speriamo che prosegua l'ondata di sostegno e di seguito che questa estate ci ha portato.
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