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lunedì 1 settembre 2014

LAVORO A TERMINE E JOBS ACT: COMMENTO ALL'ART. 3 D.LGS. 368/2011



DECRETO LEGISLATIVO 6 settembre 2001, n. 368

[ 3.1 ] Divieti

1. L'apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti, ovvero sia concluso ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine (1);
d) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
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(1) Ai sensi dell’art. 3-bis, D.L. 11 giugno 2002, n. 108, conv. dalla legge 31 luglio 2002, n. 172, la disposizione di cui alla presente lettera, deve intendersi nel senso che il divieto ivi previsto di procedere ad assunzioni con contratti a termine presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine, non si applica nell'ipotesi di cui all'articolo 5, comma 5, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.

            Questo articolo è uno degli articoli del D.lgs. 368/2001, che, pur non oggetto di modifiche dirette da parte della riforma Poletti del mercato del lavoro (DL 34/2014), è quello tra i più manifestamente incisi.
            Nel sistema legislativo precedente, a tale norma, che individuava i casi di “divieto” di assunzione a termine in determinati casi, si affiancava, come norma di sanzione (e, quindi, di controllo effettivo) la disposizione di cui all’art. 01 D.lgs. 368/01, che obbligava il Datore a specificare i “motivi” organizzativi, sostitutivi etc. dell’assunzione. Questo sistema era, a tutta evidenza, particolarmente stringente: all’enunciazione “platonica” del divieto di assunzione a termine in caso di sciopero etc. faceva riscontro un sistema molto severo di controllo effettivo delle causali, a cui nessuno avrebbe potuto sfuggire.
In un sistema (solo in apparenza liberalizzato) come quello del 2001, dove la legittimità dell’assunzione a termine passava per un vaglio e della causale (generale-astratta: la fissazione del termine) e dei motivi concreti dell’assunzione, il Datore doveva per forza passare attraverso il controllo delle circostanze (motivi) produttivi etc. dell’assunzione a termine, pena la trasformazione del rapporto ope legis in rapporto “fisso”. Un controllo, per altro, reso molto stringente dalla giurisprudenza, che aveva avuto modo di precisare come il vaglio delle “causali” del contratto a termine non dovesse essere generico, limitato alla mera enunciazione, ma esaustivo, comprensivo di tutte le circostanze utili a specificare una autentica “ragione transitoria” di assunzione.
Non serve più di tanto dire come questo sistema facilitasse di molto il controllo di fattispecie più manifestamente “a rischio di abusi” come le sostituzioni di lavoratori in sciopero, per CIG etc.: l’art. 03, che enunciava il divieto di assunzione a termine di lavoratori in sciopero etc. trovava così una chiara e limpida sanzione. E ora?
Non possiamo nasconderci che il “sistema” dopo la riforma Poletti è molto cambiato.
L’eliminazione delle “causali” ha indotto un importante contraccolpo nel “sistema” complessivo della contrattualistica a termine: l’eliminazione delle “causali”, infatti, e dell’incisivo complesso di controlli che ne discendevano, ha determinato l’irrilevanza dei “motivi” (organizzativi etc.) dal contratto a termine. In queste condizioni, è sufficiente, ai fini della legittimità dell’assunzione a termine, la mera … fissazione del termine (indipendentemente dalla specificazione dei motivi)! Il salto non è di poco conto: mentre prima, non era sufficiente ai fini della legittimità (o della presunzione di legittimità) dell’assunzione a termine, la presenza di un termine finale (ma era necessaria la specificazione dei motivi), ora, ai fini della legittimità (o della presunzione di legittimità) del contratto a termine è sufficiente la mera fissazione dei termini. Detto in altre parole, se prima la mera fissazione del termine non avrebbe potuto liberare il Datore di Lavoro dall’onere di provare la legittimità dell’assunzione, oggi, la mera fissazione del termine basta a consentire al Datore l’assolvimento della prova della legittimità del termine, e a invertire sul Lavoratore la prova dell’eventuale illegittimità dell’assunzione.
E in che modo il Lavoratore potrà contestare l’assunzione a termine? Il “sistema” viene ad assomigliare terribilmente al diritto comune: vediamo di capire perché.
La posizione del Lavoratore che, dopo il Jobs Act, voglia contestare l’illegittimità dell’apposizione del termine è assimilabile, in tutto e per tutto, a quella del contraente “comune” che intenda impugnare un’apposizione di termine contrattuale (elemento accidentale del contratto) che assuma contra legem. A questi fini, si dovrà fare primariamente riferimento alle ipotesi di tutela previste dagli art. 1354 Codice Civile, ma anche ad altri istituti come la simulazione del contratto (art. 1414 Codice Civile), il contratto “in frode alla legge” (art. 1344 Codice Civile), il contratto “a causa illecita” (art. 1343 Codice Civile), il contratto stipulato con “Motivo illecito comune” (art. 1345 Codice Civile). Inutile sottolineare come queste ipotesi siano molto prossime a condotte di “sfruttamento” del lavoratore, passibili altresì di tutela penale, almeno ricorrendo gli estremi dell’estorsione ex. art. 627 Codice Penale, ravvisata dalla giurisprudenza nelle ipotesi di conclamato “abuso” del Datore di Lavoro. Se questa è semplificazione … ma lasciamo stare.
De jure condito, ciò che rileva è che la caduta dello “speciale” sistema di controllo delle causali, costringe il Lavoratore a ricorrere alle (farraginose) tutele “anti-abuso” offerte dal diritto comune. Questo non può che incidere, indebolendo sensibilmente, la forza di “storiche” normative anti-abuso come quella apprestata dall’art. 03 D.lgs. 368/01 contro l’uso di “assunzioni sostitutive” per sciopero, per CIG etc.
Veniamo ad una prima e sommaria esemplificazione.
L’ipotesi più di tutti problematica è l’ipotesi di assunzione sostitutiva di lavoratori in sciopero. In questa circostanza, ritenuta tradizionalmente “causa illecita” di assunzione a termine (e, quindi fonte di nullità del contratto), la tutela del singolo Dipendente non può che passare attraverso un “provvedimento” ex. art. 28 l. 300/70, che dimostri l’assunzione a termine posta in essere in violazione di norme sindacali; “provvedimento” di cui avvalersi, poi, per provare la nullità del contratto a termine. Precedentemente, avrebbe potuto bastare una disamina incidenter tantum sulle “ragioni produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire all’invalidazione del rapporto a termine. Ora no!
Un po’ meno problematica la prova dell’illegittimità di assunzione a termine per sostituzione di lavoratori in CIG, senonchè la tutela del Dipendente cassintegrato qui è strettamente dipendente dall’iniziativa in sede ispettiva dell’INPS; e solo andata a buon fine questa, il Dipendente potrà procedere (di riflesso) ad invalidare l’assunzione a termine. Precedentemente, avrebbe potuto bastare una disamina incidenter tantum sulle “ragioni produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire all’invalidazione del rapporto a termine. Ora no!
Anche la tutela del lavoratore, assunto illegittimamente a termine per contemporanea presenza di licenziamenti collettivi conosce un andamento tortuoso. Essendo tale norma corollario della garanzia in ordine al corretto uso della “consultazione sindacale” ex. l. 223/91, e venendo in evidenza l’uso della contrattualistica a termine in questa circostanza come prova della “non genuinità” della “natura collettivo-sindacale” dei licenziamenti, è giocoforza che l’illegittimità delle assunzioni a termine poste in essere in violazione rilevi di riflesso attraverso l’impugnazione della procedura di licenziamento collettivo (versomilmente una declaratoria di licenziamento illegittimo ex. art. 18 l. 300/70). Precedentemente, avrebbe potuto bastare una disamina incidenter tantum sulle “ragioni produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire all’invalidazione del rapporto a termine. Ora no!
Di minimo rilievo è, invece, l’ipotesi di cui alla lettera d) dell’art. 03 D.lgs. 368/01, che concerne il divieto di assunzioni a termine in difetto di “valutazione dei rischi” (per questa fattispecie, dovrà farsi una valutazione a parte).
Vero è che, in questi casi, sussumibili per lo più in ipotesi di nullità rilevabili ex officio, il Dipendente potrà contare sull’iniziativa istruttoria officiosa del Giudice codificata dall’art. 421 Codice Procedura Civile, particolarmente utile per casi come questi dove viene in gioco un “riequilibrio” di tutele a favore del Lavoratore.
Ma la sensazione che si ricava da questa esegesi del D.lgs. 368/01 è una sensazione di incompiutezza e di deficienza. Ne risulta fortemente ridimensionata, pertanto, la portata dell’art. 03 D.lgs. 368/01, norma che mantiene un alto profilo descrittivo delle condotte più tipiche e odiose di “abuso” della contrattualistica a termine (e sicuramente a “causa illecita”); norma che mantiene un forte “indirizzo di tutela antiabuso” in connessione con la normativa europea sui contratti a termine (Direttiva CE 70/99), ma di cui viene ad essere fortemente indebolita la procedura di controllo e di verifica (ovvero di “sanzione”); norma che deve diventare l’occasione di una riflessione più ampia, che metta a fuoco gli squilibri e i contraccolpi di una tecnica legislativa affrettata, che taglia con l’accetta, e non con compasso e livella, come dovrebbe. Evidentemente, a poco serve gloriarsi di aver eliminato la “farragine” della causale, se poi, a valle, si è determinata una “farragine” e una complicazione di tutela molto rilevante, con conseguenze imprevedibili da non sottovalutare neanche dal Datore di Lavoro.
Semplificare va bene, specie se si creano adeguate alternative e canali di tutela anti-abuso del Dipendente. E non dimentichiamo: l’Europa ci guarda!




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