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venerdì 9 ottobre 2015

MAXISANZIONE E SANATORIA RAPPORTO A TERMINE: SI PUO' LICENZIARE IN VIA DISCIPLINARE IL DIPENDENTE "STABILIZZATO"?

Caso:
Tizio, Titolare di un negozio di bigiotteria in località balneare, aperta solo alcuni mesi all’anno, subisce un’Ispezione che riscontra la presenza, nel luogo di lavoro, di Caia, Commessa in nero. Tizio intende regolarizzare Caia con un rapporto a termine, ma, dopo 30 gg., la Dipendente viene licenziata in via disciplinare. La Dipendente impugna il licenziamento. In questo caso, Tizio può avvalersi dei benefici connessi alla diffida?

Risposta:
Siamo costretti a riprendere in mano le considerazioni svolta dal dr. EUFRANIO MASSI nell’articolo Lavoro irregolare, Libro Unico del lavoro e prospetto paga: quadro sanzionatorio, pubblicato in Diritto & Pratica del Lavoro nr. 34-35/2015.
Come abbiamo già avuto modo di riscontrare, EUFRANIO MASSI sottolinea come in parte qua la nuova speciale diffida prevista per “sanatorie” di rapporti di lavoro “in nero” trasformati a termine, la legge è sicuramente molto restrittiva in caso di recesso datorile.
L’art. 3.3ter DL 12/2002, infatti, obbligando il Datore di Lavoro, ai fini della “sanatoria” del “lavoro nero”, al “mantenimento in servizio” del personale a termine almeno 3 mesi, è formulato in modo tale da non ammettere alcun margine di recesso.
A questa conclusione, MASSI arriva confrontando la disposizione con altre disposizioni di stabilizzazione (es. art. 1.1202 ss l. 296/06), che, pur in costanza di assunzione a tempo indeterminato (a “sanatoria” di precedenti contrattualistiche irregolari “a progetto”) ammettevano il recesso datorile, se non altro “per giusta causa”.
Abbiamo visto come non si pongano soverchi problemi applicativi, nel caso in cui il Dipendente “sanato a termine” si dimetta.
I problemi divengono, però, insormontabili in caso di licenziamento: ma non tanto in via teorica, quanto in via pratica. Dal punto di vista teorico, infatti, il licenziamento “per colpa”, essendo determinato da una causa propria del Dipendente, non potrebbe certo considerarsi imputabile al Datore: sulla carta, la “sanatoria” dovrebbe comunque ritenersi perfezionata e la diffida seguire il corso usuale del “pagamento in misura ridotta” nei 15 gg. successivi alla constatata regolarizzazione. Dal punto di vista pratico, invece, le cose si complicano enormemente: si complicano particolarmente quando (come nel caso di specie), il Lavoratore impugna il licenziamento: ciò pone l’ispettore in uno stato di incertezza che non pare concretamente compatibile con la procedura di diffida.
Il rapporto, infatti, deve considerarsi regolarizzato entro 120 gg. dal verbale di diffida: al 120° giorno, l’Ispettore deve essere in condizione di verificare se il Datore ha operato la regolarizzazione; ovvio che l’impugnazione del licenziamento lascia l’Ispettore in una persistente incertezza.
Se le cose dovessero andare al meglio (ma niente lo assicura) la vertenza potrebbe concludersi dopo 60 giorni, come prescritto nella procedura di “offerta di conciliazione” ex D.lgs. 23/2015: non è consono pensare che l’Ispettore possa restare in un così lungo stato di sospensione e incertezza.
Né è realistico pensare che l’Ispettore possa attendere il decorso inutile dei 60 gg. concessi dalla legge al Lavoratore licenziato per impugnare il licenziamento disciplinare.
La questione va risolta evidentemente sul piano pratico.
Per questi motivi, è consigliabile che l’Azienda, una volta regolarizzato il Dipendente già “in nero” con un contratto a termine, attenda a licenziare il Dipendente, ricorrendone i presupposti, al termine della procedura. Naturalmente, tenendo conto delle specifiche problematiche del licenziamento nel lavoro a termine …

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