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venerdì 24 febbraio 2017

LICENZIAMENTO PER MANCATO SUPERAMENTO DEL PERIODO DI PROVA: DATORE DI LAVORO NON E' OBBLIGATO A MOTIVARE IL LICENZIAMENTO

Quando un Datore di Lavoro licenzia un Dipendente per mancato superamento del “patto di prova”, non sussiste alcun obbligo di motivazione: questo è ciò che differenzia lo “speciale licenziamento per prova” dalla generale casistica di licenziamento; questo stato di cose è stato confermato dalla sentenza nr. 189/1980, con la quale la Corte Costituzionale ha confermato il carattere “discrezionale” del licenziamento per mancato superamento del periodo di prova.

La giurisprudenza, però, nel tempo ha enormemente ristretto i casi di “recesso libero” durante il periodo di prova.

Ad esempio, se il licenziamento è stato spiccato a fronte di un “patto di prova” nullo, in questo caso si applicano le ordinarie tutele contro il licenziamento (“tutele crescenti”).

E’ questo, ad esempio, il caso del patto di prova successivo all’assunzione, non contestuale o anteriore, ovvero il patto di prova che non individui le mansioni rispetto a cui “si mette alla prova” il Dipendente (Cass. 5404/2013).

In questo caso, il Lavoratore è enormemente facilitato, perché il Datore, difficilmente in questi casi, riesce ad accampare giuste cause di licenziamento.

Non si applica al Dipendente la tutela ordinaria contro i licenziamenti, se il patto di prova è regolare, ma è viziato il licenziamento.

In questo caso, a differenza che nei giudizi “normali” di licenziamento, compete al Lavoratore provare che il licenziamento datorile è illecito.

Sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, che ha ritenuto “discrezionale” il licenziamento datorile nel corso del periodo di prova, la giurisprudenza è ferma nel ritenere impugnabile il licenziamento che sia stato spiccato per un “motivo estraneo” alla sperimentazione delle attitudini del Lavoratore.

Ma sulla qualificazione del “motivo estraneo”, la giurisprudenza accusa fatiche e difficoltà.

1)      Una prima scuola di pensiero, in analogia con il sindacato di illegittimità degli atti amministrativi (il cd “sviamento di potere”), aveva ritenuto censurabili tutti i motivi di licenziamento istituzionalmente estranei al patto di prova. Ad esempio, si è ritenuto precluso al Datore accampare, in questa fase, una “riduzione del personale” o una “riorganizzazione” per licenziare il personale in prova (si noti, che di un caso simile discute la sentenza allegata, Cass. 1180/2017). Ma nel 1998 (sentenza nr. 402/98), la Cassazione respinse questa impostazione, ritenendola contraddittoria alla natura giuridica del patto di prova, per eccellenza flessibile e adattabile a molte circostanze (anche esterne, come “motivi organizzativi”) comunque tali da influire negativamente sull’esperimento. Diversamente, non essendo possibile far valere motivi organizzativi, questa l’obiezione della Cassazione nel 1998, il “patto di prova” sarebbe incomprensibilmente più rigido e stabile del lavoro “non in prova”!
2)      A seguito della Cassazione 402/98, ha prevalso una seconda scuola di pensiero. Secondo questa seconda “scuola di pensiero”, il “motivo estraneo” alla prova, suscettibile di determinare l’invalidità del licenziamento per mancato superamento della prova, può essere qualificato solo come “motivo illecito” ex. art. 1345 Codice Civile. E’ questo, ad esempio, il licenziamento intimato per motivi discriminatori, sotto la copertura “lecita” del mancato superamento del periodo di prova.

Questi contenuti, più che consolidati, si ritrovano anche nella sentenza nr. 1180/2017 della Corte di Cassazione, che potete consultare al LINK: http://www.tcnotiziario.it/Articolo/Index?settings=VlZTTDhXaVNJaWxXSHhQWGJFbmFOeXprL3NlV2hqOVFNd3h0dE9zMmFXbEZkSkExYXB6ZVRnZkZxbnMzU3d1bDJBd1hBT3pDaklSOEtDYjF0b1FGRWFBeHUzSENFNGZOdmhNYVNYaDg4MXpTN0VnUEpDM0hyMm1SbFVVZWFXcjdkMkFaTVpLK1BKd0VWNkxjOWdtMzV3PT0=

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