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venerdì 22 dicembre 2017

COME GESTIRE L'INDENNITA' DI MATERNITA' NEL LAVORO INTERMITTENTE-ECCO LE INDICAZIONI DI PRASSI DELL'INPS

Al lavoratore intermittente compete l’indennità di maternità, almeno in via teorica. Lo ha stabilito l’INPS con la Circolare 41/2006, nel vigore del D.lgs. 276/03; ma tali indicazioni sono valide anche vigente il D.lgs. 81/15.
Ecco, il passo dedicato dell’Istituto:

A)    prima  tipologia:   obbligo contrattuale di risposta alla chiamata del datore di lavoro
In merito alle indennità di malattia, maternità e tbc, nell’ambito di tale tipologia contrattuale occorre distinguere l’ipotesi in cui gli eventi in questione si collochino durante i periodi di effettivo utilizzo lavorativo dall’ipotesi in cui si collochino, invece, durante la fase di obbligatoria disponibilità.
In effetti, anche se l’art. 38, comma 3, sancisce che per tutto il periodo in cui il lavoratore intermittente resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro il lavoratore stesso non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, tuttavia, poiché ai sensi dell’art. 36, comma 2, le somme corrisposte a titolo di indennità di disponibilità sono soggette a contribuzione obbligatoria sia ai fini dell’IVS che ai fini delle prestazioni di malattia e maternità, è da ritenere che debba essere assicurata anche in tali periodi la tutela della malattia, della maternità e della tbc (per tale prestazione, ovviamente, in presenza del pregresso requisito contributivo previsto di un anno).
Dal diverso trattamento corrisposto al lavoratore nel periodo di effettivo lavoro e nel periodo di disponibilità deriva l’applicazione di un diverso parametro retributivo a seconda che le giornate di evento cadano nel periodo di prevista attività lavorativa ovvero di disponibilità; si prende, cioè, come riferimento, rispettivamente, la retribuzione giornaliera percepita durante il periodo di effettivo utilizzo lavorativo immediatamente antecedente all’insorgenza dell’evento ovvero l’indennità di disponibilità spettante secondo il contratto[1].
L’art. 38, comma 2, prevede espressamente un riproporzionamento del trattamento previdenziale in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita. Il riproporzionamento è realizzato utilizzando, per gli eventi di malattia, di maternità e tbc, un diverso parametro retributivo a seconda che le giornate di evento cadano nel periodo di prevista attività lavorativa ovvero di disponibilità; si prende, cioè, come riferimento, rispettivamente, la retribuzione giornaliera percepita durante il periodo di effettivo utilizzo lavorativo immediatamente antecedente all’insorgenza dell’evento ovvero l’indennità di disponibilità spettante secondo il contratto[2].
In merito al congedo parentale valgono le indicazioni precisate nel paragrafo relativo al part-time verticale, con l’avvertenza che le istruzioni ivi contenute relativamente alle “pause contrattuali” sono riferibili alla condizione di “disponibilità”.
Anche per quanto riguarda la indennità di tbc, valgono le indicazioni (salvo il riferimento alla “retribuzione annua” nel caso di indennità, per i  primi 180 giorni, pari a quella di malattia) precisate nel paragrafo relativo al part-time verticale.
Nei casi in cui il contratto sia stipulato a tempo determinato, si ricorda che le prestazioni di malattia possono essere corrisposte, fermo quanto precede a proposito della retribuzione da prendere a riferimento, entro i limiti previsti per tale tipologia di lavoro, tra i quali, ovviamente, l’erogabilità non oltre la data di prevista scadenza del rapporto.

B)    seconda  tipologia:  mera facoltà di risposta alla chiamata del datore di lavoro.
L’individuazione della disciplina previdenziale applicabile a tale tipologia contrattuale non può prescindere dal preventivo inquadramento giuridico della fattispecie in oggetto.
Il vincolo contrattuale per il lavoratore sembra sorgere solo al momento della risposta (facoltativa) alla chiamata del datore di lavoro. La risposta suddetta ha, quindi, efficacia costitutiva del rapporto contrattuale: fino a quel momento non vi è alcun obbligo di disponibilità in capo al lavoratore, cui pertanto non spetta né l’indennità di disponibilità, né alcun diritto alle prestazioni di malattia e maternità. I rapporti contrattuali in tal modo di volta in volta instaurati devono considerarsi come rapporti a tempo determinato, con conseguente applicazione dei relativi limiti di indennizzabilità ordinariamente previsti per le prestazioni di malattia (il diritto all’indennità si estingue al momento della cessazione dell’attività lavorativa).
Il riproporzionamento (vedi lettera A) di cui alla previsione dell’art. 38, comma 2, non può realizzarsi con la metodologia di cui alla tipologia precedente proprio per la mancanza di un obbligo contrattuale di disponibilità: la retribuzione complessivamente percepita quale corrispettivo dell’attività svolta nel corso dell’anno (ultimi 12 mesi) va divisa per il numero delle giornate indennizzabili in via ipotetica (360, per impiegati; 312, per operai), computando nella retribuzione anche le indennità di trasferta e i ratei di mensilità aggiuntive secondo gli stessi criteri illustrati per il contratto di lavoro a tempo parziale (paragrafo 6).
L’indennità per il congedo di maternità è corrisposta per tutta la durata dell’evento, purché ovviamente lo stesso abbia inizio durante la fase di svolgimento dell’attività, ovvero entro 60 giorni dall’ultimo lavorato.
Per il congedo parentale valgono le indicazioni precisate nel paragrafo relativo al part-time verticale (paragrafo 6): vanno pertanto indennizzatenella misura del 30% della retribuzione (senza riproporzionamenti) che la/il lavoratrice/tore percepirebbe qualora non si astenesse e conteggiate come congedo parentale soltanto le giornate di previsto svolgimento dell’attività (comprese le festività cadenti nei periodi di congedo parentale richiesti).
Per quanto riguarda la indennità di tbc, valgono le indicazioni precisate nel paragrafo relativo al part-time verticale (paragrafo 6).
(…)
Per quanto riguarda, invece, il congedo parentale (già astensione facoltativa), si ritiene, come già precisato nella sopra citata circolare, che il diritto a fruire del beneficio di cui all’art. 32 del T. U. non possa essere riconosciuto durante le pause contrattuali, essendo tale diritto esercitabile nei soli periodi di svolgimento dell’attività lavorativa. Vanno pertanto indennizzate nella misura del 30% della retribuzione (senza riproporzionamenti, ugualmente a quanto previsto nell’ipotesi di cui al capoverso precedente) che la/il lavoratrice/tore percepirebbe qualora non si astenesse e conteggiate come congedo parentale soltanto le giornate di previsto svolgimento dell’attività (comprese le festività cadenti nei periodi di congedo parentale richiesti) e non anche le giornate rientranti nelle c.d. pause contrattuali.

Alcune note:
1)      Ai lavoratori intermittenti padri, si applicano le disposizioni ordinariamente applicabili (il congedo obbligatorio spetta in caso di morte e/o infermità della madre etc.);
2)      Alcuni dubbi residuano per i cd “riposi per allattamento” (padre e madre). La Circolare non ne parla. Pare, però, coerente ritenere che tali riposi, in quanto subordinati alla sussistenza di un orario di lavoro predeterminabile (inferiore, pari o superiore alle 6 h giornaliere), spettino al lavoratore intermittente solo laddove l’orario sia predeterminabile: quindi, (parrebbe!) per il lavoratore intermittente con “obbligo di disponibilità” (entro una certa fascia oraria), non per il lavoratore intermittente che a tale disponibilità non sia obbligato. Il punto è da verificare in sede INPS.

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