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venerdì 23 marzo 2018

PERMESSI 104 E PART TIME VERTICALE

In alcune recentissime sentenze, la Corte di Cassazione sta procedendo a “rivoluzionare” la prassi applicativa dei permessi della legge 104/92 ai contratti a
part time verticale.
La prassi INPS, finora affermatasi con difficoltà e non senza fatica, dovrà, con ogni probabilità andare rivisitata.
Ecco, l’indicazione di prassi emergente dalla sentenza nr. 4069/2018, l’ultima che si è occupata di questo caso:

[…] Appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi in oggetto”.

Questa è l’indicazione di prassi che deve essere recepita nella gestione dei permessi 104 per i contratti a part time verticale.
Per avere un’idea pratica, si consideri il caso di seguito riportato: un’Impiegata Amministrativa che lavori annualmente con un part time verticale dal lunedì al giovedì dalle ore 08,30 alle ore 14,30, ad esempio, ha diritto a fruire dei 3 giorni di permesso della legge 104/92, per sé o il familiare disabile, senza subire riduzioni e riproporzionamenti.
In questo caso, infatti, la Lavoratrice presta servizio annualmente per un numero pari a circa 208 gg., pari al 66,66% delle giornate che potrebbero essere lavorate su 6 giorni nell’anno (312).
AGLI OPERATORI NELL’AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE
Raccomandiamo la massima attenzione: non esiste una norma di legge che imponga o presupponga tale soluzione. Tale soluzione, viceversa, è frutto di un intervento sostanzialmente “discrezionale” (se non “creativo”) della Cassazione: l’INPS, quindi, potrebbe disconoscere tale conclusione.
Finchè la questione non sarà risolta in via legislativa, la materia resterà oltremodo incerta.


mercoledì 21 marzo 2018

OFFERTA UNILATERALE DI CONCILIAZIONE-PANORAMICA

Allo scopo di ridurre il contenzioso giudiziario, allo scopo di garantire tempi rapidi di definizione delle controversie in materia di licenziamenti, allo scopo di garantire la certezza e velocità dei pagamenti, il D.lgs. 23/2015, all’art. 6, nel riformare i regimi e le indennità di licenziamento, ha altresì introdotto una speciale conciliazione post-licenziamento, assai peculiare, che qui di seguito descriveremo.
Innanzitutto, l’art. 6 D.lgs. 23/2015, non si applica in tutti i casi di licenziamento (ovvero di controversie stragiudiziali successive), ma solo ai casi di licenziamento avvenuti all’indomani del 7 marzo 2015, a carico dei Lavoratori che siano, cioè, ricaduti nel campo di applicazione della nuova disciplina dei licenziamenti (“tutele crescenti” ex D.lgs. 23/2015).
A titolo di utile riepilogo, ricordiamo che stiamo parlando di:

1)      Operai, Impiegati, Quadri assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, a decorrere dal 07/03/2015;
2)      Conversione di contratti a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato, a decorrere dal 07/03/2015;
3)      Dipendenti, anche già in servizio, del Datore di Lavoro, con meno di 15 Dipendenti, che, per effetto di nuova assunzione successiva al 07/03/2015, superi l’organico dei 15 Dipendenti.

Laddove (come di consueto) la controversia stragiudiziale tra Datore di Lavoro e Lavoratore licenziato verta esclusivamente sulla determinazione dell’indennità di licenziamento e non coinvolga altri profili (es. mansioni, lavoro straordinario etc.), la legge prevede una modalità di definizione della controversia assai semplificata e agevolata (anche dal punto di vista fiscale e contributivo).
In questo caso, se il Datore di Lavoro offre una mensilità per ogni anno di servizio, determinata secondo la base imponibile utile a TFR, in misura non inferiore a 2 e non superiori a 18 mensilità, se la somma è pagata mediante assegno circolare, se nell’atto di conciliazione la somma non è imputata a voce diversa dal licenziamento (es. straordinario, mansioni etc.), in questo caso, il pagamento della somma comporta:

a)      L’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento;
b)      La rinuncia all’impugnazione.

Il Ministero del Lavoro, con Interpello 13/2015, ha precisato che, in questo caso, pur in presenza di conciliazione (evidentemente sottoscritta dal Lavoratore), restiamo nell’ambito di una fattispecie di “disoccupazione involontaria”, come tale utile per le normali tutele indennitarie contro la disoccupazione (NASPI). La conciliazione, quindi, non comporta la riqualificazione in termini di “risoluzione consensuale” (non utile ai fini NASPI) della cessazione del rapporto di lavoro.
Si tratta di una disposizione che presenta molti aspetti favorevoli, ma che si applica solo in presenza di specifiche condizioni:

1)      Innanzitutto, questa “modalità agevolata” di definizione del licenziamento è concessa solo nel lasso di tempo di 60 gg. successivo al licenziamento, consentito dalla legge per l’impugnazione del licenziamento medesimo;
2)      La somma di denaro “agevolata” è solo la classica somma di indennizzo del licenziamento; guai imputare la somma ad altre voci risarcitorie, si perdono tutte le agevolazioni (fiscali e contributive, in primis). NB: Ciò comporta una notevole attenzione sul versante della redazione degli atti, forse non è opportuno utilizzare la nota “clausola novativa”, usualmente in uso in tutte le conciliazioni (ma il punto è da vagliare con l’aiuto del Legale di fiducia);
3)      La somma di denaro oggetto della conciliazione deve essere versata in forma di assegno circolare. Se la somma è versata in contanti, ovvero è versata con bonifico, non ci sono gli estremi per applicare il trattamento agevolato de quo;
4)      In ogni caso, la conciliazione deve avvenire nelle cd “Sedi protette” ex. art. 2113.4°comma Codice Civile, ovvero Direzioni Provinciali del Lavoro, Sindacati, Commissioni di Certificazione. Viceversa, le conciliazioni de visu tra Dipendente e Datore, anche in presenza dei Legali, restano impugnabili nei 60 giorni dalla stipula, come previsto dall’art. 2113.1° comma Codice Civile (e, in questo caso, non sono utili per il “trattamento agevolato” ex. art. 6 D.lgs. 23/2015).

L’accettazione della somma comporta speciali obblighi di aggiornamento delle comunicazioni di cessazione al centro per l’Impiego che deve avvenire nei 65 gg. successivi.
Qui di seguito, il testo dell’art. 6 D.lgs. 23/2015.

Art. 6

Offerta di conciliazione
1. In caso di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 1, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilita' per le parti di addivenire a ogni altra modalita' di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro puo' offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non e' assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilita' della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilita', mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L'accettazione dell'assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia gia' proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.

2. Alle minori entrate derivanti dal comma 1 valutate in 2 milioni di euro per l'anno 2015, 7,9 milioni di euro per l'anno 2016, 13,8 milioni di euro per l'anno 2017, 17,5 milioni di euro per l'anno 2018, 21,2 milioni di euro per l'anno 2019, 24,4 milioni di euro per l'anno 2020, 27,6 milioni di euro per l'anno 2021, 30,8 milioni di euro per l'anno 2022, 34,0 milioni di euro per l'anno 2023 e 37,2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024 si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

3. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92, assicura il monitoraggio sull'attuazione della presente disposizione.

A tal fine la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni, e' integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale deve essere indicata l'avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione di cui al comma 1 e la cui omissione e' assoggettata alla medesima sanzione prevista per l'omissione della comunicazione di cui al predetto articolo 4-bis. Il modello di trasmissione della comunicazione obbligatoria e' conseguentemente riformulato. Alle attivita' di cui al presente comma si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.